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CHE TRISTEZZA QUELLE CLASSIFICHE SULLE SCUOLE

LETTERE IN REDAZIONE – Puntuale come ogni anno, accompagnata da un’aura d’indiscutibile scientificità, la graduatoria Eduscopio sulle scuole superiori italiane viene a convincerci dell’inevitabilità della competizione: è l’idea pervasiva quanto banale che ogni valutazione di qualità dipenda dalla competitività su una piazza, opinione insinuatasi con successo anche nel mondo della formazione culturale.

La Fondazione Agnelli che l’ha stilata basa la propria rispettabile ricerca sui risultati universitari e lavorativi dei diplomati, elementi importanti ma niente affatto esclusivi per un giudizio sul reale valore dell’istruzione. Troppe sono le variabili, e troppo alto il senso stesso della formazione dei giovani, perché un valore medio o un indice numerico possano decretare quale scuola sia migliore di un’altra (giacché è precisamente la parola “migliore” quella più ricorrente sugli organi d’informazione).

Il dato puro e non filtrato di un’indagine può certe volte favorire la comprensione, in casi come questo può solo distorcerla.

Nelle tabelle, per fare qualche esempio, potrebbero facilmente stanziarsi al vertice istituti che stroncano, anche sul piano psicologico, i soggetti più fragili e tengono tra i propri ranghi solo quelli con cui si può “vincere facile”.

Al contrario, le scuole che recuperano i reietti, o più semplicemente quelle che riescono a formare tutti i ragazzi, portandoli con dignità – e con i diversi risultati di cui ciascuno è capace – ad una professione o all’università, rischiano di giacere sul fondo della classifica (in virtù dei dati Eduscopio, si legge da più parti bollare spietatamente queste scuole come “le peggiori”, mentre ho conosciuto certi istituti “di trincea” ai cui insegnanti andrebbe fatto un monumento).

E ancora, forse è legittimo chiedersi: è giusto sottoporre alla spinta della competizione e della conquista una realtà che deve lavorare per la diffusione della cultura, l’uguaglianza dei diritti, la promozione della cittadinanza consapevole e della solidarietà, spesso remando contro le mille seduzioni diseducative circolanti e tenendosi a galla con risorse finanziarie indecorose?

Opporsi alle semplificazioni – e quindi alla nuda circolazione di queste graduatorie – non significa sottrarsi a una valutazione del proprio lavoro, come vorrebbero certe ottuse campagne di caccia ai privilegi degli insegnanti.

Il fatto è che chi sente la responsabilità della formazione di tutti i nostri figli, e quindi della qualità di tutti gli istituti, non può non accorgersi che queste classifiche, così come sono state acriticamente riportate e supinamente riverite dai media, rappresentano una grossolana approssimazione nonché l’ennesima presa in giro per la Scuola, per chi vi lavora (con l’idea non di produrre auto da corsa ma persone) e per chi la frequenta.

Leggendo i giornali, potrà capitare che certi studenti scoprano di frequentare un istituto per “sfigati”, con insegnanti indegni, mentre altri si lusingheranno d’appartenere a chissà quale rango superiore.

A chi di loro queste classifiche fanno un buon servizio?

Francesco Paloschi, insegnante

(Mestre)

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