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La Scuola nel documento dei saggi, parliamone

A guardarsi intorno, non ci si aspettava che nel documento dei cosiddetti “10 saggi” si parlasse anche di scuola. Perché – sappiamo – nell’agenda della politica nostrana, la questione scuola non occupa certamente un posto rilevante.

Comunque, il documento, fino a ieri, non era di quelli per cui valeva la pena di “spendersi” più di tanto, almeno nella considerazione di chi scrive.

Ci poteva essere, da parte di chi si interessa di scuola, una sorta di curiosità su come la vedono personalità più attente ed esperte di questioni istituzionali ed economiche. Niente di più.

Con la rielezione di Napolitano a Presidente della Repubblica e con un governo le cui caratteristiche appaiono disegnate nel discorso di insediamento (e con i limiti temporali abbastanza facilmente presumibili – e augurabili -), il documento dei saggi può invece essere letto come possibile base programmatica – come si dice – anche per il governo della scuola per i prossimi due anni (o giù di lì, se le cose marceranno per il verso giusto o che al giusto si avvicinino di più).

Non è certo lecito chiedere al documento, per come è nato, quello che non può avere: cioè un respiro che permetta di affrontare i nodi strutturali del nostro sistema scolastico.

Le scelte del documento privilegiano piuttosto un profilo che tende a circoscrivere – e di molto – i campi di intervento, puntando su alcuni problemi socialmente rilevanti che caratterizzano negativamente il pianeta scuola.

Si citano in primo luogo, al riguardo, due fenomeni certamente allarmanti: l’abbandono precoce della scuola, “assai più diffuso che nel resto d’Europa”, e la riduzione drastica della mobilità sociale (si riportano, al riguardo, i dati sconvolgenti che conosciamo, ma che opportunamente vengono riproposti).

Un altro fenomeno su cui – stranamente, per chi vive soprattutto di pane e scuola – si appunta l’attenzione del documento è il “rischio di mortalità” in rapporto ai livelli di istruzione (“tra gli uomini meno istruiti il rischio è dell’80% più elevato rispetto ai più istruiti”, mentre, per le donne, tale rischio è quasi il doppio!). Problema, a ben guardare, indubbiamente rilevante sotto il profilo dei diritti e dell’eguaglianza sociale.

Un ultimo campo problematico considerato è quello delle nuove tecnologie: a proposito delle quali si rileva – non senza ragione – che l’infrastruttura di rete è, attualmente, più “dimensionata per la gestione amministrativa” e meno – si sottolinea – “per la costruzione degli ambienti di apprendimento”.

Un aspetto interessante del documento è che, su ciascuna delle questioni considerate, si propongono interventi non sempre nuovissimi, ma comunque sensati e concreti.

Sul fronte dell’abbandono scolastico si dice, ad esempio, che “le analisi disponibili indicano come il miglior strumento di contrasto sia il prolungamento della scuola al pomeriggio negli anni del primo ciclo, mentre oggi giorno il tempo pieno alle elementari è diffuso solo in alcune regioni (non a caso, quelle in cui la dispersione è minore) ed è di fatto inesistente nelle scuole medie”.

Opportunamente, al riguardo, si richiamano cose –anche qui – non nuove, ma che comunque si è fatto bene a ribadire: e cioè che le attività pomeridiane “non dovrebbero essere però una replica delle lezioni frontali della mattina” e che l’estensione del tempo scolastico consentirebbe interventi innovativi. Come ad esempio, la scomposizione dei gruppi classe e la sperimentazione di metodologie didattiche più efficaci anche per i ragazzi maggiormente a rischio (per i quali si parla esplicitamente di insegnamento individualizzato da finalizzare “in modo prioritario, al rafforzamento delle competenze di base”).

Sul versante della mobilità sociale, il “suggerimento”, per invertire “immediatamente” la tendenza negativa in atto, riguarda – e a ragione – “la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei requisiti di eleggibilità per il diritto allo studio universitario….”.

Sul rapporto salute-istruzione, poi, non mancano suggerimenti, anche specifici, nell’ottica che “dedicare risorse all’insegnamento di stili di vita salutari è un investimento sul futuro, oltre che uno strumento per migliorare la qualità della vita”.

Vale la pena richiamare infine il passaggio del documento dove si parla della importanza della “scuola digitale” e di una “cultura attiva del dato” che permetta di superare le barriere disciplinari e aprire la strada ad approcci sistemici e quantitativi.

Che dire infine sul documento nel suo insieme?

In primo luogo che sembra emergere, pur nel numero ristretto dei campi considerati, un’idea di scuola attenta al sociale e che rispetto al sociale tende a darsi un ruolo più incisivo.

L’altra cosa che si può dire è che le proposte fatte richiedono investimenti non da poco. Soprattutto l’estensione del tempo scolastico. Che sarebbe scelta importante se si accompagnasse, come d’altra parte si legge nel documento, ad una diversa organizzazione didattica e a pratiche educative innovative.

L’aver scelto questa logica va comunque salutato come un fatto positivo, dopo un decennio di tagli spesso indescriminati e insensati e di investimenti tendenti a zero.

Concludo con un’ultima considerazione che continuo a vedere centrale. E cioè che le varie misure proposte potranno risultare efficaci – e, più in generale, che l’attuale crisi del sistema scuola potrà arrestarsi – ad una preliminare condizione: affrontare la questione docenti. Questione, assente nel documento, che in questa fase è la più delicata e importante e che richiede di sciogliere soprattutto tre nodi: 1. risolvere definitivamente il gravissimo problema del precariato, evitando però sanatorie rischiose e aprendo anche la scuola ai giovani; 2. motivare gli insegnanti; 3. qualificarli.

Se non si sciolgono questi tre nodi, tutti gli altri cambiamenti, anche quelli importanti, rischiano di non “reggere”.

Va anche chiarito che sciogliere il nodo della motivazione significa avere in mente soprattutto una diversa considerazione sociale del ruolo sociale dell’insegnante e una sua valorizzazione (che riconosca l’impegno e la competenza, anche ai fini di carriera); e che la qualificazione sarà tale se eviterà ogni forma di estemporaneità e facoltatività nella formazione e nello sviluppo delle competenze professionali.

Discorso certamente a lungo termine, ma che andrebbe almeno impostato da subito con equilibrio e lungimiranza. Anche da parte delle organizzazioni e associazioni interessate.

Un’altra “assenza” varrebbe infine la pena di considerare per la prossima agenda governativa: riguarda le misure di accompagnamento all’operazione di Riordino – in atto attraverso le Indicazioni Nazionale per primo ciclo e licei e le Linee Guida per l’istruzione tecnica e professionale – . Di essa, purtroppo, si stenta a cogliere, da più parti e soprattutto nelle scuole, le indubbie potenzialità nel disegno di una scuola rinnovata.

Antonio Valentino

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