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Un dirigente scolastico disperato, dopo aver sentito Letta, chiede investimenti per la scuola

Cara Rossini,

ho sentito il premier Letta intervistato domenica scorsa da Fazio. Ottimi i suoi propositi su formazione, cultura e ricerca; qualcuno pero’ dovrebbe avvertirlo del fatto che mentre lui parla il “sistema” costruito dai ministri Gelmini e Tremonti e perfezionato da Profumo, continua a tagliare personale alla scuola pubblica anche per il prossimo anno. Spariranno ancora classi; chiuderanno piccoli plessi di Scuola dell’Infanzia e Primaria in comunità marginali in cui solo la scuola costruisce identità e appartenenza, e progetti di vita e di futuro; si ridurranno le ore per l’apprendimento dell’inglese. Sono un dirigente scolastico e sono disperato.

Mi manca la scuola che a me, figlio di pescatori, ha permesso di arrivare alla laurea; mi manca la scuola che accoglie, include e promuove le persone; mi mancano i docenti che “fanno” scuola innovando i processi e accompagnando gli allievi in formazione (mancano perché presi da problemi di esubero, soprannumerarietà, precarietà); mi manca un mondo che abbia senso di lealtà e sia capace di proporlo alle giovani generazioni. Se qualcuno può, informi il premier Letta del fatto che la scuola pubblica italiana, che ha accompagnato il riscatto del mio Salento e di tanti luoghi splendidi dell’Italia un tempo felice, viene tuttora taglieggiata, come viandante inerme da una masnada di vili grassatori. Con infinita, non prona, tristezza

Pasquale Ciriolo, Castro (Lecce)

Enrico Letta ha chiuso la sua prima intervista da premier (concessa alle morbide domande di Fabio Fazio) con un proposito di grande effetto: “Mi dimetterò se dovremo fare dei tagli alla cultura, alla ricerca e all’università!”. Parole decise che gli operatori dei teatri stabili, del cinema, delle arti e delle scienze, e i docenti universitari, farebbero bene a tenere a mente pretendendo le dimissioni del premier alle prime avvisaglie di tagli. Ma non gli insegnanti delle scuole di tutti gli altri ordini e gradi perché Letta, che si è portato le dita in croce sulla bocca a mo’ di giuramento, si è guardato bene dal nominare la parola “scuola”, che pure Fazio gli aveva suggerito. Ci piacerebbe credere che sia stata un’omissione innocente, ma siccome a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si indovina (copyright Mazzarino-Andreotti), è probabile che abbia glissato di proposito. Negli ultimi cinque anni la scuola ha già subito tagli per 8 miliardi di euro, restandone dissestata negli edifici e nell’organizzazione, e chi ha il compito di dare un futuro a questo paese dovrebbe impegnarsi esclusivamente a invertire la tendenza. Anche senza giuramento in diretta.

L’Espresso

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