Di Davide Rossi
Segretario generale SISA – Sindacato Indipendente Scuola e Ambiente
La NASA ci informa che dal 2002 al 2022 le aree ricoperte dal verde sono aumentate del 5%, un aumento pari all’area equivalente al totale di tutte le foreste pluviali amazzoniche, oltre il 25% di questa crescita è stato realizzato dalla Cina, la quale ancora una volta si dimostra la nazione più impegnata sui temi ambientali. Altro dato importante un terzo della copertura del suolo terrestre si sta inverdendo, dato ugualmente trasmessoci dalle osservazioni statunitensi. Inoltre la presenza di anidride carbonica nell’atmosfera è attualmente di sole 420 parti per milione, una percentuale dello 0,042%. Il contributo umano, il cosiddetto danno antropogenico, è stimato, sempre da scienziati statunitensi, in un ventesimo di questa cifra, ovvero lo 0,0021%. L’industrializzazione potrebbe essere una causa, oggi allo studio, per l’inverdimento, dato lo stimolo che la CO2 atmosferica svolge nella crescita delle piante, tant’è che è comune l’utilizzo di generatori di anidride carbonica nelle serre commerciali per migliorare la resa delle coltivazioni. La tesi che il CO2 possa essere la causa principale del riscaldamento si fa sempre più esile, più credibile l’ipotesi secondo cui l’intensità della luce solare e la definitiva fuoriuscita dalla piccola glaciazione dell’età moderna stiano facendo il loro corso.
Alessandro Volta insieme a Leonardo ed Einstein è tra i massimi geni della scienza del secondo millennio umano, per quanto sia poco ricordato. Tutta la nostra vita oggi è contraddistinta da quanto lui è stato capace di compiere per primo, raccogliendo l’energia per utilizzarla quando necessario. L’energia ci serve ed è simbolo di progresso, credo che siamo tutti d’accordo che il futuro non sia una candela sul tavolo e le donne a lavare i panni al fiume a mani nude nell’acqua fredda, non si tratta dunque di promuovere un neoprimitivismo, che è estraneo ai nostri orizzonti culturali e non può essere confuso con un più generico e generale ritorno alla natura. Tuttavia un quarto di secolo fa Serge Latouche, inventore della decrescita felice, così come il gruppo italiano che più vivacemente con lui interagiva, strettosi intorno a Mario Alcaro autore del prezioso “Sull’identità meridionale, forme di una cultura mediterranea”, immaginava non tanto di decrescere per produrre meno, ma per produrre e crescere meglio, concentrandosi su quanto di utile può esservi per l’umanità, piuttosto che su ciò che risulta socialmente inutile. I pannelli solari e le pale eoliche che oggi si possono produrre a costi bassissimi e con redditività raddoppiata solo rispetto a pochi anni fa potrebbero garantire luce, riscaldamento e acqua calda all’intera umanità, come dimostrano i più recenti studi sul tema condotti ad Amsterdam e a Parigi, a Londra e a Stoccolma.
Proprio Mario Alcaro, insieme a tanti altri pensatori, ha teorizzato il recupero della cultura del dono e della relazione, rispetto a quella commerciale e mercimoniale imposta dal consumismo liberista, una cultura che ha ridotto non solo le persone, ma anche la natura, a mera cifra economica. Quel progetto aveva invece in sé il rispetto dell’ecosistema perché, riannodando le più antiche dimensioni sacrali e rituali dei popoli mediterranei verso la natura, gli alberi, l’acqua, le pietre, leggeva la possibilità di un percorso possibile di rispetto e valorizzazione della vita in tutte le sue forme. Quella battaglia si è unita alla richiesta che i popoli di Africa, Asia e America Latina hanno posto alle Nazioni Unite per l’inserimento dell’ISU, l‘Indice di Sviluppo Umano, tra i fattori di riflessione internazionale al pari dei meri dati economici del prodotto interno lordo, richiesta quanto mai necessaria perché portata avanti per riaffermare il diritto a casa, istruzione, salute, lavoro, in un tempo in cui il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale imponevano con violenza – erano gli anni ’90 – politiche di “aggiustamento” e di “ristrutturazione del debito”, che significavano solo la distruzione dello stato sociale, condotta non solo nel sud del mondo, ma anche nei paesi industrializzati, attraverso le “riforme”, che sempre hanno significato e in maniera indiscriminata soltanto tagli e privatizzazioni.
In questo contesto immaginare di criminalizzare le materie fossili nel momento di transizione verso queste nuove tecnologie è assurdo al pari della mortifera e nefasta riscoperta del nucleare, il cui problema non sono la sicurezza delle centrali, che nessuno mette in discussione, quanto la gestione delle scorie che quasi sempre si è dimostrata fallimentare, contaminando già per i millenni futuri e in modo disastroso terre ed acque. Senza contare l’apporto delle pompe di calore che recuperano energia e calore dall’aria e dalla terra, le biomasse che convertono in energia le deiezioni animali. Studi britannici assicurano che lo 0,5% della superficie terrestre messa a pannelli solari garantirebbe energia per l’intera umanità, mentre oggi un miliardo di esseri umani vive in posti soleggiati e privi di elettricità. Di più, un terzo dell’industria commerciale navale, tanto responsabile del disastro delle acque marine e oceaniche, trasporta combustibili, potrebbe tranquillamente essere convertita a trasportare grano, impedendo lo spreco – perdite fino a un quarto – di metano e di petrolio che si realizza sia con i bastimenti, sia con gli oleodotti. Lo stesso dicasi per il trasporto dell’acqua, più di un terzo è persa nel tragitto lungo canaline ed acquedotti. Più accidentato il cammino verso le batterie elettriche, al momento servono troppi minerali e spesso per ottenerne un chilo si lavorano tonnellate e tonnellate di rocce, trattate con solventi ed acqua, che poi ne risulta inquinata e purtroppo non si volatilizza, ma ritorna nell’ambiente. La quantità di materiale estratto dalla terra è stata calcolata da New Scientist in cento miliardi di tonnellate all’anno, avviandone solo un terzo alla lavorazione che genera altri scarti. In egual modo è ancora troppo alta per le batterie elettriche la quantità necessaria di rame, a fronte di una rarefazione delle scorte terrestri, in questo campo dunque occorre ancora investire in ricerca per raggiungere i risultati conseguiti dall’eolico e dal solare. Proprio il solare, con la struttura dei pannelli in plastica riciclabile, riduce costi e problemi di trasportabilità. Invece l’incontro tra la plastica e la chimica genera una delle situazioni più pericolose per il futuro della vita sulla terra, si calcola infatti che il livello di avvelenamento sia di dimensioni rilevantissime, solo ad esempio negli Stati Uniti è acclarata la presenza di sostanze polifluoroalcheliche nell’acqua potabile e rimuoverla costerebbe miliardi di dollari, una preoccupazione ben occultata dai governi locali e da quello di Washington, che non vogliono affrontare il problema. Pesticidi e diossine distruggono e mettono a repentaglio la vita e la biodiversità anche in questo caso molto più del CO2, al pari del sempre più agghiacciante e preoccupante stato delle acque: fiumi, laghi, mari, sono un disastro ecologico con un livello di inquinamento, non solo come denunciamo da tempo composto dalle nano e microplastiche, che si riverbera sulla terra e nei terreni coltivati, ma anche di agenti chimici e sostanze velenose di tutti i tipi.
Il solito delirio di onnipotenza dell’uomo fa credere all’uomo stesso di essere autore e responsabile dei cambiamenti climatici, invece oggi la scienza ci sta spiegando che la natura sulla terra e il sole nel cielo cambiano nel corso dei secoli a prescindere dall’uomo, che dovrebbe quindi concentrarsi sui suoi errori e le sue colpe, già bastevoli per una seria riflessione ecologica. L’uomo è responsabile della distruzione dell’ecosistema, non dei cambiamenti climatici, occuparsene è un obbligo, prendendo atto che noi umani siamo i massimi occupatori e consumatori del pianeta e delle sue risorse.
Infine mentre l’Italia porta a cifre miliardarie la spesa militare, non possiamo tralasciare che le armi, ancor peggio quando utilizzate, non contribuiscono certo alla salvaguardia del clima e al futuro dell’ecosistema, quindi, non rinunciando a immaginare un futuro migliore e diverso, sappiamo che esso sarà possibile solo se sarà fondato sulla pace e sul rispetto dell’ambiente e della biodiversità.
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