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500 Euro per l’autoformazione – ATTENZIONE si rischiano condanne penali

Come utilizzare il bonus di 500 Euro erogato dal governo nel mese di ottobre per l’aggiornamento professionale dei docenti? E’ la domanda che ci stanno ponendo centinaia di nostri lettori. C’è chi chiede se sarà possibile utilizzarli per acquistare un PC, chi uno smartphone o un tablet. C’è anche chi sta frequentando i corsi di riconversione sul sostegno e domanda se è possibile utilizzarli per pagare le spese sostenute per i viaggi, altri ancora chiedono cosa accade se non si utilizzano secondo i dettami della legge, ebbene, in questo caso, i rischi sono enormi, addirittura penali. Lo spiega, nell’articolo che segue, Carlo Forte

I costi di emissione, fornitura e gestione della carta elettronica per l’aggiornamento dei docenti di ruolo non potranno essere a carico dello stato. E le spese saranno soggette a rendicontazione. Pertanto, chi utilizzerà intenzionalmente i 500 euro per scopi diversi da quelli fissati dalla legge rischierà una condanna penale. E’ l’effetto dell’entrata in vigore della legge 107/2015. Il regolamento di attuazione è stato firmato dal presidente del consiglio il 22 settembre scorso e a breve i docenti di ruolo potranno beneficiarne. Quest’anno, infatti, per evitare che le lunghezze burocratiche ritardassero gli effetti delle nuove disposizioni, i docenti interessati riceveranno i 500 euro direttamente in busta paga. Dal prossimo anno, invece, le somme saranno rese disponibili tramite una carta di credito prepagata.

Il beneficio riguarderà solo i docenti di ruolo. E sarà sospeso per un anno nei confronti dei docenti che, nell’anno in corso, siano stati fatti oggetto della sanzione disciplinare della sospensione. Questa preclusione, peraltro, non è prevista dalla legge 107. E dunque, i diretti interessati potrebbero avere gioco facile a farla disapplicare in sede giudiziale. Oltre tutto la disciplina sanzionatoria dei docenti è, di per sé, più afflittiva rispetto agli altri lavoratori del pubblico impiego. Perché, in caso di sospensione, oltre a prevedere la sospensione della retribuzione, la normativa prevede un ritardo nella progressione di carriera da uno a tre anni. Che si concreta in un danno economico di circa 1000 euro per ognuno degli anni di ritardo.

Il decreto prevede che le spese sostenute dai docenti per l’aggiornamento dovranno essere rendicontate. E la documentazione sarà fatta oggetto di controlli da parte dei revisori dei conti delle istituzioni scolastiche dove prestano servizio i docenti interessati. L’esigenza di documentare le spese era già emersa in commissione bilancio al senato all’atto dell’emanazione del parere. A questo proposito, infatti, la commissione aveva raccomandato al governo di individuare un obbligo di rendicontazione delle spese. Proprio per evitare che i docenti potessero utilizzare la somma anche per scopi diversi dal quelli strumentali. Il governo ha recepito l’indirizzo della commissione. Ed ha anche previsto che gli importi delle spese non conformi saranno decurtati dagli ulteriori 500 euro che spetteranno al docente interessato l’anno successivo. Ma questo non basta a precludere l’insorgenza di eventuali responsabilità. Il docente, infatti, opera in quanto pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. E viene in possesso dei 500 euro non a titolo retributivo, ma in ragione del suo ufficio. Tant’è che la legge vincola l’utilizzo del denaro così assegnato alla copertura di spese per l’aggiornamento e la formazione professionale. Pertanto, il docente che dovesse intenzionalmente utilizzare i 500 euro per scopi diversi, dandone una rendicontazione truffaldina, potrebbe incorrere nella responsabilità penale.

Tra le varie ipotesi, quella del reato di truffa aggravata e di falso. Meno probabile il peculato. Ancora più improbabile l’abuso d’ufficio. Ma il rischio c’è. E si sarebbe potuto evitare se, al posto della dazione di denaro in via diretta, il governo avesse utilizzato lo strumento fiscale della detrazione o della deduzione. E cioè, rispettivamente, la possibilità di scalare le spese documentate dall’importo delle tasse (decurtazione) oppure la previsione di un tetto massimo per le spese da scalare sull’imponibile (deduzione). In questi casi, peraltro, i controlli sarebbero stati effettuati dall’agenzia delle entrate. E cioè da funzionari e impiegati che vantano una vasta esperienza in materia. Nel caso della carta, invece, i controlli saranno effettati dai revisori dei conti delle scuole. Che non operano in veste di collegio (lavorano in coppia). Svolgendo tale funzione non in pianta stabile, ma solo per arrotondare lo stipendio.

Le coppie di revisori, infatti, sono scelte rispettivamente, nei ruoli dei funzionari del ministero dell’economia e del ministero dell’istruzione. Questi ultimi, non di rado, non hanno competenze di natura contabile, essendo individuati tra i funzionari degli uffici scolastici. In più, la legge prevede che non possano operare nella provincia dove prestano servizio. E ciò complica ulteriormente la situazione. Un altro elemento da considerare sono i costi di emissione e gestione della carta di credito. Il decreto prevede che il ministero darà in appalto il servizio relativo all’emissione, alla fornitura e alla gestione della carta, «senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». Ciò vuol dire che eventuali oneri saranno posti a carico dell’utenza, salvo sponsorizzazioni. Non è escluso, quindi, che i docenti destinatari possano essere gravati di un costo fisso annuale di utilizzo (come accade per le carte di credito) e, probabilmente, anche dal costo delle operazioni bancarie derivanti dall’utilizzo della carta.

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