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ADIDA – "Di cosa parliamo quando parliamo di scuola"

TFA ordinari , PAS, Scienze della formazione primaria, diplomati magistrali, abilitazioni di serie A, abilitazioni di serie B… Ultimamente è questo di cui si discute nei forum o su facebook, o di cui si legge nelle riviste di scuola.

Siamo all’inizio dell’anno scolastico, ad incarichi ancora da definire, e la nostra categoria di docenti si autodescrive segmentata, o meglio, sezionata, a seconda di  come ci si trovi  a giocare, o ancora no, non certo per voler dei diretti interessati, la carta così tanto agognata chiamata “abilitazione” (solo in Italia possiamo parlare di docenti “abilitati” e “non abilitati”, cosa su cui riflettere).

Assistiamo impotenti e sconcertati nell’assurda realizzazione che ci vede a scuola tutti “colleghi”, con identico status, a parlare dei “nostri” bambini o ragazzi, e questo mettendo a frutto l’esperienza e la preparazione che ognuno può spendere nel suo ambito, nell’ottica di condivisione per poter vivere meglio il tempo tra noi e rendere la scuola un luogo migliore e positivo rispetto ad una realtà che in molti casi offre sempre più miseria: sia sociale che intellettuale…

In questo contesto, risulta difficile capire come si possano perdere di vista le vere cause di questa situazione assurda che, probabilmente per la prima volta nella storia, la scuola si trova ad affrontare.

Politiche sbagliate, cieche, implementate da una classe politica impreparata, senza una visione di insieme e lungimirante e che, probabilmente, non si è mai posta la domanda di quale progetto di società volesse far nascere e sviluppare nel nostro Paese. O forse si, ma nutriamo non poche riserve e sospetti, verso una classe politica che ha privilegiato nella scuola il principio di cassa.

Non capiamo come l’intera categoria dei docenti non si ribelli quando vengono proposti bandi di concorso svilenti, quando non si applicano le leggi; non capiamo come si possano chiedere deroghe, perché ci si accorge sempre tardi del misfatto.

Perché non vi è quasi mai una reazione e consapevolezza, prima, come invece accade in altri paesi?!

La cosa poi tremenda, e di cui non ci si rende conto, è che il compito che questa professione riveste si chiama “esempio”. Esempio per le parole che dovremmo saper usare, per  come le dovremmo saper esprimere e per la conoscenza che dovremmo far trasparire.

Invece, in un momento delicato come il nostro, in cui ci viene chiesto di saper educare alla legalità, al rispetto dell’altro, della diversità, specialmente in uno spazio come internet (eloquenti i casi di cyber bullismo, dove chiunque può diffamare l’altro, o deriderlo), noi docenti tocchiamo spesso e volentieri il fondo. In ferro ignique tra noi, si basano le rispettive posizioni su stereotipi, inesattezze e, ahinoi, sempre più spesso su arroccamenti individualistici ed egoistici.
In particolare, non comprendiamo chi continua a contrapporre laureati in scienze della formazione primaria e diplomati magistrali. Non so con quali intenzioni e quanto strumentalmente; ma è sbagliato, e non porta rispetto e dignità alla professione che svolgiamo. Se si fosse onesti intellettualmente si dovrebbe, prima di dichiarare o affermare un proprio diritto, considerare ed ascoltare  quello dell’altro. Non esistono abilitazioni A o B . L’abilitazione è una. Continuare a confondere titolo abilitante con il titolo di studio che ciascuno di noi può avere, non è serio, e significa  non voler aprire gli occhi e volere nascondere continuamente la testa sotto la sabbia. Non si tratta semplicisticamente, di porre sullo stesso piano un diploma di scuola secondaria vs laurea, ma di far finalmente convivere, come è avvenuto per tutte le altre professioni, due ordinamenti  diversi,  l’uno precedente all’altro, non sovrapponendoli.  Per chi volesse approfondire, le norme sono lì, chiare e cristalline. Quindi iniziamo a dialogare seriamente tra noi, collaboriamo e costruiamo insieme la scuola che vorremmo. Continuare a contrapporci, contribuirebbe solamente ad aggrovigliare quella matassa fin troppo annodata che non riesce a dare a nessuno, alcuno spiraglio.

Chiara Stella Albanello per Adida

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