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Classi pollaio. Non illudiamoci, occorre abrogare la normativa

Gianfranco Scialpi interviene sulle classi pollaio, create per risparmiare e mai eliminate

Classi pollaio. Sono sempre presenti, nonostante titoli a effetto e sentenze. Qualche contributo giornalistico esprime una sorta di sorpresa, dimenticando le regole del nostro ordinamento giuridico.

Classi pollaio, il dato conferma il loro aumento

Classi pollaio. La soluzione organizzativa voluta dall’ultimo Governo Berlusconi (2008-2011) è la prova più evidente dell’entrata a gamba tesa del liberismo a scuola. Questo si caratterizza sostanzialmente per il criterio dell’ottimizzazione versione scuola: impiego minimo delle risorse e risultati al ribasso. Questi ultimi declinati anche con la dispersione scolastica esplicita e implicita. A distanza di quasi quindici anni, le classi pollaio sono ancora presenti nell’organizzazione scolastica. Ovviamente l’On. M.Gelmini gioisce, dichiarando a ragione nel 2019 (Otto e mezzo): “la Sinistra non si è preoccupata di abrogare la sua legge”.

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Alcuni giornali e non solo, esprimono una sottile meraviglia nel constatare che le classi pollaio sono ancora presenti. Come spiegare altrimenti titoli del genere “Restano le classi pollaio”, “Nonostante gli annunci…“Tutto fermo sulle classi pollaio…”

Sorpresa? Assolutamente no!

Occorre ribadire che Il Miur e gli Usr non hanno alcuna funzione legislativa. La loro azione è esecutiva di norme approvate dal Parlamento. Il governo può farsi promotore di un’iniziativa propria, ma è sempre l’Assemblea dei Deputati e dei Senatori a dire l’ultima parola.
A nulla valgono i tanti annunci, se poi questi non si traducono in una norma abrogativa la legge 133/08 e del conseguente D.P.R. 81/09.

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Occorre anche evitare l’illusione che le sentenze rappresentino la scorciatoia giuridica per cambiare il quadro normativo. Alcuni titoli clickbait come le decisioni di un Tar, consiglio di Stato o Cassazione che vietano la formazione di classi con numero superiore a…,valgono solo per il caso specifico Nel nostro ordinamento giuridico, le sentenze non fanno legge (Civil law) e quindi non vincolano i pronunciamenti successivi, come nel sistema anglosassone (Common law).

Gianfranco Scialpi

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