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Comunicato-stampa Cobas – Meschine vendette repressive degli invalsiani


A Roma un’intera classe sospesa per non aver risposto agli indovinelli; altrove, minacce a docenti, studenti e genitori

La ministra annulli gli illegali provvedimenti e richiami all’ordine i pretoriani arroganti

Il successo della “tre giorni” di scioperi contro la scuola-quiz e gli indovinelli Invalsi ha provocato una meschina e illegale reazione repressiva da parte di molti invalsiani, presidi e docenti. La burocrazia centrale dell’Invalsi – reclutata per lo più negli ambienti finanziari e della tecnocrazia economica – ha cercato di minimizzare i risultati della protesta fornendo dati fasulli, rilanciati dal MIUR e riferiti alle sole classi-campione (quelle con la presenza degli ispettori e dei docenti più proni alla scuola-quiz, che costituiscono solo il 5% del totale). Ma l’evidenza delle decine di migliaia di docenti ed Ata in sciopero, dell’esteso boicottaggio degli studenti alle Superiori e dei genitori alle Elementari e Medie e le molte migliaia di classi che hanno rifiutato l’umiliante pratica quizzarola hanno ingigantito l’attenzione dei massmedia, il dibattito culturale nel paese – che ha coinvolto tanti ben noti docenti universitari, uomini e donne della cultura e dell’arte – fino ad insinuare dubbi consistenti anche nella nuova compagine ministeriale, a partire dalla ministra Carrozza e dal sottosegretario Rossi Doria. Cosicché il nervosismo, partito dai palazzi quizzomani, si è trasmesso tra gli esecutori invalsiani che, come spesso capita alla “bassa truppa”, si sono rivelati più realisti del re, dando vita a meschine, illegali e inaccettabili vendette repressive verso i docenti in sciopero e gli studenti “ribelli”. Già durante lo sciopero si sono ripetute illegali sostituzioni del personale e “riorganizzazioni” del servizio, contro le quali, nei casi più eclatanti, procederemo legalmente. Ma successivamente parecchi presidi e purtroppo anche alcuni docenti sono arrivati a minacciare e ad aggredire verbalmente bambini delle Elementari e studenti delle Superiori, accusandoli di aver “danneggiato” il buon nome della scuola non effettuando i quiz: e analoghi attacchi e minacce sono arrivati anche ai genitori “complici”.

A Roma – all’Istituto Sisto V – un’intera classe (la II SCA) è stata sospesa per due giorni per aver consegnato in bianco i quiz; mentre in tante altre classi, ove gli studenti hanno esercitato come non mai l’ironia nel boicottaggio dei quiz, sono state minacciate penalizzazioni agli scrutini finali da parte di un non irrilevante numero di docenti che stanno “suicidando” la propria professione nel modo più miserabile; e sanzioni sono state annunciate anche per alcuni docenti che hanno rivendicato “l’obiezione di coscienza” contro i quiz . Come hanno ricordato gli studenti, “in nessun caso può essere sanzionata la libera espressione di opinioni correttamente manifestata e non lesiva dell’altrui personalità”.

Invitiamo dunque la nuova ministra ad intervenire non solo per far annullare le sanzioni ma anche per richiamare all’ordine i pretoriani invalsiani che stanno infrangendo leggi, deontologia, moralità, buon senso e corretti rapporti umani nelle scuole. E ci auguriamo che la nuova compagine ministeriale rifletta ulteriormente su quanto – come abbiamo sottolineato nell’incontro al MIUR del 16 maggio – sia distruttiva e degradante la valutazione di scuole, docenti e studenti sulla base dei quiz, e sulla drammaticità dell’impoverimento culturale prodotto dal “teaching to test” e cioè dal miserrimo insegnamento finalizzato alla risoluzione dei quiz. Ribadiamo infine le richieste al proposito che abbiamo fatto nell’incontro al MIUR: 1) togliere i quiz dall’esame di terza Media; 2) non introdurli all’esame di Maturità; c) precisare che la pratica dei quiz Invalsi può essere solo facoltativa e affidata alle decisioni dei Collegi docenti. Nel frattempo noi, oltre ad esprimere la massima solidarietà agli studenti e docenti colpiti dalla meschina repressione invalsiana, siamo impegnati a battere queste pratiche attraverso iniziative di lotta ma anche, ove indispensabile, con il ricorso alla magistratura.

Piero Bernocchi portavoce nazionale Cobas

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