Gentile Redazione,
scrivo per portare all’attenzione dell’opinione pubblica un tema che riguarda direttamente il futuro dei nostri ragazzi più fragili: quello della qualità della formazione degli insegnanti di sostegno.
Negli ultimi tempi si è assistito a un fenomeno preoccupante: titoli di specializzazione sul sostegno acquisiti all’estero, talvolta in tempi rapidissimi e senza una reale esperienza o preparazione didattico-pedagogica, vengono riconosciuti in Italia come abilitanti. Capita così che persone che fino al giorno prima svolgevano mestieri del tutto diversi – camionisti, cassieri o altre professioni dignitosissime ma lontane dal mondo della scuola – si ritrovino improvvisamente insegnanti di sostegno.
Non è una questione di pregiudizio verso chi cambia carriera, ma di tutela del diritto allo studio degli alunni con disabilità. Il sostegno richiede competenze specifiche, sensibilità, formazione approfondita e continua: non basta un titolo ottenuto con percorsi che, a volte, appaiono più una scorciatoia che una vera preparazione.
A pagare le conseguenze di questa situazione non sono solo gli studenti con bisogni educativi speciali, ma anche le loro famiglie, già provate da percorsi complessi e faticosi, che si aspettano dalla scuola un supporto serio, qualificato e umano.
È necessario che le istituzioni competenti si assumano la responsabilità di garantire standard formativi adeguati e selezioni rigorose, per non trasformare un settore così delicato in un facile canale di ingresso nel mondo della scuola per chiunque, senza reale vocazione o preparazione.
La scuola deve rimanere un presidio di qualità e non un mercato di titoli.
Cordiali saluti.
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