Ormai giunti a metà Luglio, sono finalmente terminati i lavori delle 13.900 commissioni impegnate a valutare 524.415 candidati. Eppure, mai come quest’anno, l’argomento Esame di Stato continua ad essere un hype sul web, dividendo come sempre l’opinione pubblica. Tra le varie tracce della prova ordinaria di Giugno, secondo le statistiche ufficiali, il 40,3?% ha riflettuto sul rispetto come parola dell’anno (proposta B2) e il 15.4% sulla funzione dell’indignazione nel mondo dei social (proposta C2). E forse rispetto e indignazione permettono di analizzare anche alcuni aspetti dell’Esame. Il rispetto ci dovrebbe essere per i candidati che, per la prima volta, assaporano davvero cosa sia una prova d’Esame composita, che apprendono solo sul campo cosa sia l’emozione e come gestirla velocemente, che dopo un respiro, sfogliano il plico della prima prova (orientandosi tra le proposte), poi quello della seconda (cercando di svolgerla nel modo migliore) e poi si immergono in uno “studio matto e disperatissimo” per il colloquio finale; il rispetto ci dovrebbe altresì essere per i Docenti, reclutati coattamente ogni anno nella militia del MIM, sistematicamente percepiti come ‘nemici da combattere’ da candidati, famiglie e purtroppo, a volte, anche daalcuni commissari interni, ma che, a differenza di banali e infondati luoghi comuni, pur risucchiati da quella macchina burocratica sempre più criticata, lavorano magnis itineribus per i candidati e non contro. D’altra parte le proteste di alunni “ribelli” sono dimostrazione di indignatio verso un Esame che sembrerebbe non valorizzarli correttamente. Ne seguono infiniti cahiers de doleance, argomento di salotto e di ciarleria di madri e padri, soprattutto se, malauguratamente, il voto di uscita si trova a differire in difetto dalla media di ammissione, mala gestio, non normata ma data per assodata.
Sicuramente rispettare gli alunni e il loro impegno, nonché rendere onore al lavoro didattico fatto durante l’anno, non significa lasciarli amenamente copiare nella seconda prova,spoilerare in anticipo gli argomenti dei documenti aiutandoli a creare i percorsi prima dell’orale, transustanzializzare performacemediocri alla ricerca del voto più alto possibile (racconti di eventi ahimè accaduti). Ciò non contribuisce a rispettare l’Esame stesso, ma a farlo percepire come un ostacolo da arginare in qualunque modo (anche non lecito) e forse ad alimentare l’indignazione verso valutazioni ritenute non giuste.
I casi dei tanti candidati ribelli, eloquentemente silenti al colloquio finale, sono solo la punta dell’iceberg di un sistema che difatti, funziona sulla carta, ma non nella realtà. Senza entrare nel ginepraio di cosa sia giusto o sbagliato, di cosa sia hýbris e cosa titanico atto sessantottino, è chiaro che ciò sia accaduto perché in qualche modo consentito, a causa di un vulnus che ha dato erroneamente e logicamente per scontato il sottoporsi anche all’ultima prova. Andrebbe però sottolineato che il sistema non si boicotta dopo essersi assicurati la promozione matematica, ma forse avrebbe più valore stoico se avvenisse, coerentemente, fin dall’inizio. Non a caso, l’orale è il monstrum finale che preoccupa forse di più per la mole di contenuti da rispolverare o studiare. E d’altra parte, non è piacevole neppure per i Docenti, costretti ad assistere spesso a spettacoli mozzafiato di pirotecnica verbale: ignorando l’immagine proposta di Mussolini affacciato al balcone di Palazzo Venezia, è accaduto che si ascoltassero le gesta di Giolitti; proposto un passo isiaco tratto dalle Metamorfosi di Apuleio, perché non parlare dell’Agricola di Tacito (che poi al singolare o al plurale – “agricolae”- è lo stesso!)? E che, non ci vedi il Nabucco o Pasolini nell’immagine relativa a Moby Dick? L’elenco dei mirabilia ai quali quest’anno ho assistito è davvero infinito. L’orale è, insomma, un qualcosa che, come direbbe Dante “intender la può solo chi la prova” e che a volte diviene ancora più grottesco dei reel virali sui social.
Non è certamente colpa dei candidati che, davanti al documento proposto, come nei test di Rorschach, si ingegnano per ricondurlo in ogni modo a ciò che maggiormente sanno o ricordano. È la formula che non funziona: puntare sulle competenze, senza dare giusto peso alle conoscenze è solo un triste esempio di illogico hýsteron proteron; i voti di ammissione (che dovrebbero sinteticamente presentare agli esterni il percorso del candidato) sono a volte gonfiati, per aumentare il tesoretto dato dai crediti (come si fa a valutare 9/10 in Latino chi non ricorda neppure che sia esistito Petronio??!); la commissione mista, che sulla carta dovrebbe assicurare equilibrio (tre interni e tre esterni) rischia invece di creare due schieramenti “l’un contro l’altro armati”, specialmente nelle scuole non statali, dove in qualche modo gli interni devono ‘giustificare’ al Datore il proprio apporto pro alunno, o nel caso di docenti non professionali che agiscono in nome di personali rivalse nei confronti dell’Istituto al quale sono stati assegnati (e mettendo da parte falsi buonismi ipocriti, purtroppo anche ciò accade ed è accaduto!).
Le prove scritte, invece, sembrano ancora mantenere una loro dignità, nonostante a mio avviso andrebbe ripristinata la vecchia e temuta terza prova a risposta breve (utile però per valutare le conoscenze e sviluppare la competenza della sintesi ragionata). Purtroppo, la prima prova resta sempre quella più chiacchierata, spesso considerata dalla vox populi un affare privato tra il commissario designato e il candidato. Tutti sanno che il “tema” è questione di gusti! Peccato che la Prima prova ora sia declinata in sette proposte, afferenti a tre tipologie diverse (A,B,C, tutte con vincoli specifici) e che sia corretta e valutata collegialmentesecondo gli indicatori contenuti nel D. lgs. 62/2017. Ma nell’idea comune, sopravvive, in modo amarcord, il “tema” e tutti quindi si sentono autorizzati a commentarne la valutazione: dopo Sanremoe prima di Temptation Island, l’Esame di Stato resta insomma il topic più gettonato. Così, se il voto assegnato alla prima o seconda prova non corrisponde a quello della pagella, è inevitabile la protesta, senza pensare che una prova d’Esame è unica, che non è svolta secondo la parcellizzazione dei contenuti (come nel corso dell’anno), che può subentrare l’imprevedibile fattore emotivo o che, semplicemente, può accadere che l’alunno non abbia saputoscegliere né svolgere bene la traccia a lui più congeniale. Del resto, il credito scolastico valuta il suo pregresso. Il resto andrebbecostruito ex novo. L’orale diviene dunque la scena del “duello finale” per riscattare l’onore offeso del candidato, con l’entrataspavalda del genitore che, come il colonnello Douglas Mortimernel celebre film Per qualche dollaro in più di Sergio Leone, entracon passo spavaldo, fissando la commissione, immancabilmente accompagnato dall’avvocato (scena ahimè realmente accaduta e che apre una serie di altre e più tragiche riflessioni). Insomma, l’attuale Esame non funziona, anche perché tutto viene percepito come inutile, dato per scontato, o peggio, ingiusto. E prima ancora delle modalità, forse è proprio questo il punto su cui lavorare: riqualificare il rispetto per la funzione iniziatica dell’Esamestesso, riportandolo ad essere un Esame di Maturità, un momento formativo indelebile nella vita di un alunno, capace di fortificare la sua consapevolezza autocritica (e non polemica).


