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In pensione a 67 anni per una scuola sempre più vecchia e stanca, la lettera

I lettori scrivono alla Redazione

Cara Redazione,

vorrei portare all’attenzione della redazione una riflessione che nasce dal mondo della scuola, ma che riguarda in realtà tutto il Paese. A 67 anni non ce la si fa più a lavorare nelle scuole. Non si ha più l’energia, la prontezza e la resistenza fisica e mentale necessarie per seguire i bambini e affrontare giornate sempre più impegnative. Gli insegnanti non sono manichini, né semplici esecutori: sono persone, professionisti che danno tanto di sé, ogni giorno, spesso sacrificando salute e vita privata. È ora che vengano considerati lavoratori usuranti a tutti gli effetti.

La stessa situazione vale per il personale ATA, che lavora duramente ogni giorno tra pulizie, vigilanza, segreteria e supporto tecnico, spesso con stipendi bassi e carichi di lavoro insostenibili.

Bisogna cambiare metodo e riformare la legge sulle pensioni: non si può pensare che si debba lavorare fino a quarant’anni di contributi o oltre i 65 anni. È più giusto prevedere un limite di 20 o 30 anni di servizio, dopodiché dare spazio ai giovani, che hanno bisogno di opportunità e stabilità per costruire un futuro, una famiglia, una vita dignitosa.

Con una maggiore sicurezza economica per i giovani e un riconoscimento reale per chi ha dato già tanto, il sistema sarebbe più equo, umano e sostenibile. Così invece, con le scelte di questo governo, ci troviamo in una situazione drammatica: i vecchi stremati e i giovani senza lavoro.

Qualcosa deve cambiare. E presto.

Con amarezza,
Un cittadino che crede ancora nella scuola e nel buon senso

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