La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 39414/2025, ha stabilito che offendere un docente all’interno delle chat scolastiche dei genitori è considerato un reato di diffamazione. Questa decisione, pubblicata il 5 dicembre scorso, chiarisce che è sufficiente inviare un messaggio offensivo nel gruppo per configurare il reato, senza dover dimostrare che altri membri abbiano effettivamente letto il contenuto.
Secondo la Suprema Corte, i gruppi WhatsApp utilizzati dai genitori per questioni scolastiche implicano una comunicazione attiva, rendendo superflua la prova di lettura da parte dei partecipanti. La diffamazione, infatti, si realizza semplicemente comunicando l’offesa a più persone.
Il caso specifico ha coinvolto un genitore che, attraverso la chat, ha attaccato la reputazione di un’insegnante e di suo marito, causando gravi conseguenze sia professionali che personali. La Cassazione ha sottolineato che il diritto di critica non deve mai degenerare in un attacco personale o diffamatorio.
Questa sentenza funge da monito sull’uso responsabile dei mezzi digitali, ricordando che le discussioni riguardanti l’operato scolastico dovrebbero avvenire attraverso canali ufficiali e rispettosi.
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