Le pensioni italiane continuano a sollevare interrogativi, soprattutto in vista del 2026. Un’analisi della Cgil mette in luce un paradosso evidente: i pensionati con assegni minimi, grazie a integrazioni ed esenzioni fiscali, possono percepire importi netti superiori rispetto a chi ha versato contributi più consistenti.
Un esempio emblematico riguarda un pensionato con 384 euro maturati che, grazie a integrazioni e totale esenzione fiscale, arriva a 749 euro netti. Al contrario, chi ha maturato 692 euro si ferma a 710 euro netti, penalizzato dalle imposte.
Il problema risiede nella mancata revisione della no tax area per i pensionati, ferma da anni. Questo porta a una “asimmetria redistributiva”, dove chi ha lavorato di più non beneficia pienamente della rivalutazione.
La perequazione del 2026, fissata all’1,4%, offre incrementi minimi: da 3 euro per pensioni basse a soli 17 euro per assegni da 1.500 euro lordi. Tuttavia, le imposte erodono gran parte di questi aumenti, riducendo il reale potere d’acquisto.
La Cgil sottolinea l’urgenza di una riforma strutturale per garantire equità e sostenibilità al sistema pensionistico italiano.
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