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Uscire dal cerchio. Che fare? Riflessione degli insegnanti

 

Gli insegnanti riuniti il 22 marzo, all’interno del progetto “Uscire dal cerchio. Che fare?”, hanno prodotto una riflessione che vogliono condividere con i colleghi dell’IIS e altri ancora.

La scuola contiene e riflette le contraddizioni della società italiana. E’ improbabile che possa essere pensata come un’isola separata, capace di svolgere un ruolo aldilà e “superiore” all’insieme della società stessa.

Le difficoltà della società italiana si manifestano nella scuola direttamente: attraverso i comportamenti degli studenti, le dinamiche relazionali tra loro, con le famiglie e con gli insegnanti. Ma sono evidenti anche negli atteggiamenti assunti dagli insegnanti rispetto al proprio lavoro e alla funzione educativa della scuola: c’è stanchezza, indifferenza, spesso rabbia e rinuncia. Inoltre una osservazione appena approfondita rileva che anche le famiglie mostrano un disagio diffuso che oscilla tra la scarsa attenzione alle problematiche relative alla funzione educativa della scuola e gli eccessi di ansia per le sorti dei figli.

In queste condizioni la scuola appare inadeguata a svolgere la sua funzione educativa. Inadeguatezza accentuata dalle politiche scolastiche che hanno solo perseguito il taglio delle risorse umane e economiche.

Una riflessione condivisa sul ruolo educativo della scuola diventa centrale. E’ importante che non sia lasciata alla spontanea “buona volontà” dei singoli ma diventi un obbiettivo che coinvolga tutto il corpo docente.

Abbiamo bisogno di spazi di confronto permanente e di autoformazione per capire e attrezzarci per affrontare le nuove condizioni nelle quali vivono i giovani del nostro tempo. L’esperienza di questi anni ci dice che quando abbiamo avuto l’opportunità di confrontarci, e formarci, la nostra professionalità è stata stimolata e sono migliorate le relazioni costruite con la classe e il singolo studente.

Se l’obiettivo è quello di favorire la costruzione di “adulti attivi” forse si devono riscrivere anche le pratiche didattiche e formative, che non possono ridursi all’introduzione delle nuove tecnologie o nell’espletamento di pratiche burocratiche.

Quando si sono attivate pratiche didattiche “aperte” agli stimoli della società, dinamiche e interdisciplinari, capaci di far diventare gli studenti soggetti di un progetto abbiamo ottenuto buoni risultati, in genere migliori di quelli ottenuti con la “didattica tradizionale”. Per questo abbiamo bisogno di spazi didattici liberi da lacci burocratici, in grado di favorire: i lavori di gruppo e laboratoriali, le sperimentazioni didattiche, le attività didattiche interdisciplinari, le compresenze, le attività esterne come confronto quotidiano con il mondo.

E’ evidente come le studentesse e gli studenti vivano la scuola quale mondo separato dal loro. Per colmare questa separazione abbiamo bisogno di una scuola liberamente “aperta”, capace di essere luogo di relazioni umane, occasione di educazione all’autorganizzazione degli studenti, luogo fisico di incontro degli studenti anche oltre l’orario scolastico.

La mancanza sul territorio di luoghi di incontro per i giovani ci induce a pensare che la scuola possa svolgere questa funzione.

Se la scuola, in particolare la Media superiore, vuole svolgere un ruolo educativo per le giovani generazioni deve trovare un suo profilo: deve imparare che non può sostituirsi alla famiglia e deve scegliere come interlocutori principali le studentesse e gli studenti, sono loro i soggetti del processo formativo, sono loro che dovranno diventare adulti attivi.

marzo-aprile 2013

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