Il potere della letteratura è quello di raccontare le passioni e le tensioni umane, è dare un inspiegabile senso di appartenenza all’universale, ma spesso, a scuola, è anche sfida costante con una lingua distante dalla nostra, come quella volgare, da cui tuttavia non si può prescindere per arrivare all’anima dei contenuti e, attraverso di essi, alla nostra.
L’incontro con la parola viva degli scrittori è sfidante, faticoso, ma necessario perché ci mette in un dialogo perenne col passato e riveste di nuovi significati il presente. Non servono visori per realizzare questa condizione, né particolari strategie codificate negli ultimi manuali di innovazione didattica, né docenti istrionici che organizzino viaggi astrali nel metaverso come se gli studenti fossero strane creature arrivate da un universo parallelo, che dobbiamo intrattenere e preservare da ogni sforzo.
In un testo di analisi e interpretazione del noto sonetto di Petrarca “Pace non trovo e non ho da far guerra”, scrive una mia studentessa rumena, da qualche tempo in Italia: “Il poeta esprime il desiderio di pace e tranquillità, ma contemporaneamente lotta con sentimenti d’inquietudine e mancanza di pace interiore. Il concetto di “sdoppiamento” nella poesia di Petrarca rappresenta proprio la complessità dei sentimenti umani.
Questo tipo di esperienza emotiva è qualcosa con cui molte persone possono identificarsi. Le esperienze emotive e personali che ho vissuto hanno contribuito in modo significativo alla mia crescita e alla mia comprensione della complessità umana. Vivere in un nuovo stato e imparare una nuova lingua sono state sfide che hanno richiesto una forte determinazione. Inizialmente ho affrontato momenti di frustrazione e isolamento a causa della difficoltà di comunicare e d’integrarmi in un ambiente culturale diverso. Tuttavia ho imparato a superare queste sfide.
Durante il mio percorso scolastico, ho sperimentato sia successi che delusioni. Ottenere ottimi voti in alcuni casi mi ha dato fiducia nelle mie capacità, ma ho anche affrontato situazioni in cui i risultati non sono stati all’altezza delle mie aspettative. Questi momenti di delusione e sofferenza mi hanno insegnato l’importanza di perseverare e di accettare i fallimenti come integranti del processo di apprendimento e crescita.”
Un’altra, invece, pur ammettendo le difficoltà linguistiche, osserva: “Riuscire a immedesimarsi in un testo non è facile, soprattutto se risale all’epoca del ‘300, ma con questo è quasi impossibile evitare che succeda: chiunque abbia provato un amore vero e passionale si è sentito almeno una volta come Petrarca. Rispecchia perfettamente il modo in cui tutte le anime innamorate si sentono al sicuro, protette da quelle speranze, ma allo stesso tempo coscienti che da un momento all’altro tutto possa finire e la delusione di essere rifiutati possa prendere il sopravvento.”
Insomma quella lacerazione che Petrarca sentiva settecento anni fa fendergli l’anima come una spada è sempre lì, perché chiunque vi si possa riconoscere e ritrovare.
Questi elaborati, naturalmente, hanno avuto una valutazione, numerica e non solo, ma nessuna griglia potrà circoscrivere in alcun modo il respiro che hanno le loro parole, vergate dagli studenti alla vecchia maniera, con inchiostro su un foglio e rigorosamente in corsivo. (Le cancellature e le imperfezioni formali sono documento di autenticità e testimonianza di un percorso in divenire: mi piace pensare che l’errore genera vita, come sottolinea anche uno dei due testi.)
Questa forza è il flusso vitale che, attraverso le discipline, trasforma la scuola in un’esperienza di scoperta personale e profondamente intima, che non può prescindere dallo sforzo e dalla fatica, dal senso d’inadeguatezza e dal fallimento.
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