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Rinnovo del contratto: il governo non ci mette un Euro, la scuola deve aspettare ancora

Il rinnovo del Contratto Collettivo di categoria è fermo al 2006. Il potere di acquisto degli stipendi del personale scolastico è ormai al minimo. La categoria negli ultimi anni è stata bistrattata, offesa e penalizzata, senza che questa avesse un minimo di moto di orgoglio. Ha sempre subito in silenzio, eccetto la parte più agguerrita che fa capo ai sindacati di base e a qualche confederale un po’ più attivo degli altri. Oggi, preso atto che non saranno rinnovati i contratti, siamo agli annunci dei segretari, a questi seguiranno i fatti? Ne scrive, nell’articolo che segue, Alessandra Ricciardi.

Altro che pochi, maledetti e subito. Prima che nel pubblico impiego, e nella scuola in particolare che del pubblico è il settore più nutrito, si abbia il rinnovo del contratto con tanto di soldi in busta paga passerà almeno un anno. Un’evenienza che il governo ha ben presente, tanto da aver deciso nell’ambito della legge di stabilità di stanziare per il 2016 in tutto 200 milioni di euro, 100 mln in meno di quanto inizialmente prospettato, circa 7 euro netti in più al mese a travet.

Quando per un rinnovo al pari livello del privato, sui 70 euro mensili, servirebbero almeno 1,2 miliardi annui.

A giocare a favore del governo c’è la trattativa sui nuovi 4 comparti del pubblico impiego, che vedrebbe la scuola accorpata a università e ricerca. Una trattativa partita la scorsa settimana all’Aran su posizioni assai distanti tra parte sindacale e governativa.

«Nelle more della definizione del nuovo assetto contrattuale delle amministrazioni pubbliche, con particolare riferimento all’individuazione del numero e della composizione dei comparti di contrattazione e alle conseguenti implicazioni in termini di rappresentatività sindacale», si legge nel ddl di Stabilità, «le risorse di cui al comma 1 possono essere corrisposte ai sensi dell’articolo 2, comma 35, primo e secondo periodo, della legge 22 dicembre 2008, n. 203, a titolo di anticipazione dei benefici contrattuali». Insomma i 200 milioni sono sul piatto a titolo di acconto e soprattutto di contentino per la Corte costituzionale che ha bacchettato la politica salariale degli ultimi governi, rei di aver congelato i contratti. Nell’articolato, l’esecutivo guidato da Matteo Renzi non solo impone che prima di parlare di nuovi contratti si facciano i comparti, ma che ci siano anche nuove Rsu, le rappresentanze sindacali unitarie rinnovate di recente e che, a legislazione vigente, dovrebbero restare in carica per tre anni.

Le Rsu sono infatti, insieme al dato associativo, la base di calcolo della rappresentatività sindacale, il metro di misura della forza di ogni sigla. E se per i confederali l’accorpamento dei comparti può avere effetti non dirompenti, per le piccole sigle di settore potrebbe essere deleterio. Insomma, il governo ha gioco facile nel pensare che prima di arrivare a definire l’assetto dei comparti e poi delle Rsu un anno almeno passerà. Giusto in tempo perché possano essere definiti anche i decreti attuativi della riforma Madia che rivedono, tra l’altro, le materie di competenza contrattuale.

Intanto si anima il fronte sindacale della scuola, dove sta per partire la mobilitazione sul territorio contro la riforma. «Sette euro in più al mese sono una provocazione», attacca Francesco Scrima, segretario Cisl scuola, «non staremo certamente a guardare, ci batteremo con forza per un contratto dignitoso». E nessuno tiri in ballo che i docenti sono dei privilegiati per i 500 euro di bonus già accreditati, «è un riconoscimento alla professionalità della categoria, ma non risolve per nulla il problema di un contratto fermo da 6 anni», dice Pino Turi segretario Uil scuola. «È evidente che nonostante la sentenza della Corte Costituzionale non si intendono rinnovare i contratti pubblici. Serve una ferma mobilitazione unitaria», chiarisce Mimmo Pantaleo, numero uno della Flc-Cgil. Se sarà di nuovo sciopero è presto per dirlo.

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