Il rischio che salti tutto è reale. Ancora una volta i ricorsi hanno fatto saltare il banco rendendo incerto ciò che in realtà sembrava certo. Il sistema a forza di essere forzato rischia di saltare e di conseguenza di no garantire nessuna certezza sia per chi ha il diritto di partecipare al concorso riservato e sia per chi questo diritto non ce l’ha ma cerca di farlo valere a furia di ricorsi.
Va anche detto che il legislatore ci mette del suo per permettere poi agli esperti di ricorsi di trovare quel famoso “pelo nell’uovo” e in questo caso si tratta della norma che preclude ai dottori di ricerca l’accesso al concorso riservato, tale norma infatti potrebbe essere incostituzionale. A sollevare il dubbio è stato il Consiglio di Stato che mette in discussione la legittimità del comma 2 lettera b) e del comma 3 dell’art. 17 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59, ovvero la parte che stabilisce chi può e chi non può partecipare al concorso riservato. Il famoso concorso voluto dal precedente governo attraverso il quale speravano di sanare la situazione e di mettere fine alla stagione dei ricorsi, speravano appunto.
Invece la sesta sezione dei giudici del Consiglio di Stato con sede a palazzo Spada sostiene che il titolo di dottore di ricerca è il massimo titolo accademico previsto dall’ordinamento al punto da dare persino l’accesso alla docenza universitaria, ma la parola fine alla querelle spetta alla Consulta, infatti il collegio ha trasmesso gli atti alla Consulta con l’ordinanza 5233/2018 del 3 settembre scorso. A questo punto non ci resta che attendere il parere della Consulta. Intanto migliaia di precari attendono con ansia.