Professore Tullio De Mauro, il recupero degli ultimi della classe è un modo per valutare la qualità del nostro sistema scolastico?
«Dopo trent’anni di indagini comparative internazionali abbiamo guadagnato qualche certezza. I sistemi scolastici da cui escono gli allievi meglio preparati sono quelli di paesi come la Finlandia, la Corea del Sud, il Giappone, che hanno scelto e seguito la via del “nessuno resti indietro”. Sono sistemi che concentrano i loro sforzi nel portare tutti al termine dei cicli di studio. La classe funziona bene se anche quello dell’ultimo banco partecipa al lavoro comune. Lo spiegavano Mario Lodi e don Lorenzo Milani, ora ce lo dicono statistiche e confronti accurati come quelli dell’Ocse».
Questa strategia produce anche un valore economico?
«Era una tesi diffusa, ma anche discussa, che un aumento della scolarità di una popolazione portasse a un aumento di produttività e redditi. Ora ne siamo certi. Due economisti, Robert Barro, americano, e Jong Wha-Lee, coreano, hanno studiato l’andamento in 140 paesi del mondo dal 1950 al 2010. La correlazione ora è sicura: al crescere dell’indice di scolarità di una popolazione crescono i redditi, cresce il Pil di un paese. Non è l’unico motivo per far funzionare bene un sistema scolastico, ma governi così attenti a spread, spending review, farebbero bene a guardare questi dati e a scoprire che spendere per la scuola significa investire con un buon ritorno perfino a medio termine».
A che punto siamo con l’integrazione tra didattica tradizionale e tecnologia informatica?
«Noi siamo vicini allo zero. Abbiamo abbastanza esperienze per dire che, se gli insegnanti non hanno una preparazione specifica e se non c’è il collegamento a banda larga con la rete, i sussidi informatici servono a poco e anzi, si è visto in qualche caso in America Latina, sono dispersivi e dannosi. Con la guida di insegnanti preparati la rete apre potenzialità enormi all’apprendimento».
Ga.San.
Il PIL? Cresce se aumenta la scolarità
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