LE INIZIATIVE DEL GOVERNO PER RISPETTARE GLI OBIETTIVI FISSATI DA BRUXELLES. A OGNI UNDER 25 CHE HA FINITO GLI STUDI DOVREBBE ESSERE OFFERTO DA GENNAIO UN PROGRAMMA DI FORMAZIONE
IL PIANO
La nuova frontiera dell’apprendistato è l’università. Non più contratto per ciabattini e cascherini, come nell’immaginario collettivo, ma strada privilegiata di formazione e collocamento per laureandi, laureati, candidati a master e perfino dottorati. Cioè proprio coloro che molto spesso, al termine di lunghi studi, si ritrovano più lontani dal mercato del lavoro, e impreparati alle sue esigenze, con i loro 25-26 anni e nessuna «esperienza». Questa formula destinata agli universitari si chiama alto apprendistato, per distinguerlo da quello tradizionale. Ma il senso è o stesso: l’alternanza scuola-lavoro e la possibilità di una formazione che si realizza in un’azienda. È in questa direzione che vanno molte iniziative dei ministri del Lavoro, Giovannini, e dell’Istruzione, Carrozza. Quest’ultima l’ha anche inserito come principio generale nel recente decreto per scuola e università. L’apprendistato dovrebbe diventare l’arma per realizzare la Youth Guarantee, il piano per l’occupazione dei giovani della Ue; a partire da gennaio a ogni ragazzo sotto i 25 anni dovrà essere offerto una programma di formazione entro 4 mesi dal momento in cui lascia lo studio.
In altri paesi europei, e in particolare in Germania, l’apprendistato è lo strumento che tradizionalmente è servito a battere la disoccupazione giovanile. Ma in Italia non è mai decollato. Dopo i fasti degli anni 50 e 60, quelli del boom, l’apprendistato non ha più avuto appeal. Non l’ha più avuto neanche quando, dieci anni fa, la legge fu completamente riformata e nacque, solo sulla carta, anche l’alto-apprendistato. Ha resistito l’idea che l’apprendistato fosse destinato a chi non voleva studiare. L’ultimo dato Isfol, riferito al 2011, segna un ulteriore calo del 36% dei contratti di apprendistato nei due anni precedenti. Eppure, il numero di questo tipo di contratti poi trasformati in assunzioni aumenta: +12.5%.
DIECI ANNI DI RITARDO
Finora per l’Alto apprendistato erano mancati gli accordi fra Regioni, Università e Aziende, indispensabili a realizzare i programmo in alternanza studio-lavoro. Qualche buon esempio era venuto dalle regioni del Nord, ma finora i numeri sono bassissimi. Oggi la novità è che le università stanno finalmente facendo gli accordi con le aziende e con le regioni. L’Università Roma Tre ha sottoscritto un accordo con la Regione Lazio e ha fatto 200 contratti di apprendistato di alta formazione per materie tecnico-scientifiche e ha organizzato recentemente una giornata di studio, nella quale ha messo insieme istituzioni ed esperti. Il ministero del Lavoro, a sua volta, attraverso il programma Fixo, sta pungolando le università e prevede contributi di 6.000 euro per ogni apprendista a tempo pieno e 4.000 per il part time. Ma in questo momento ha in corso solo 278 contratti di alto apprendistati in venti atenei.
Ma perché l’apprendistato non decolla? «Forse perché l’Italia non ha ancora superato una certa repulsione per l’idea di mestiere», dice la professoressa Giuditta Alessandrini, anima e motore dell’incontro sull’apprendistato a Roma. «Forse perché è uno strumento ancora poco conosciuto dai giovani», ha aggiunto Emanuele Massagli di Adapt, uno degli organismi più attivi, attraverso l’università di Bergamo. «Forse perché il meccanismo è ancora troppo complicato e le imprese hanno paura delle complicazioni burocratiche, soprattutto le piccole imprese, cioè il grosso del tessuto imprenditoriale», ha sottolineato David Trotti dell’associazione direttori del personale. Su questo punto è un coro: semplificare, le aziende italiane non chiedono altro. E chissà che gli esempi di apprendisti con la laurea possano fare da traino per tutti.
Angela Padrone