Pisana come il premier Enrico Letta, anche lei nata a metà degli anni Sessanta, Maria Chiara Carrozza è stata rettore della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa fino all’elezione alla Camera nel febbraio scorso. Laureata nel 1990 in Fisica con una tesi sulle particelle elementari, dottorato in Ingegneria, ha avuto numerose esperienze professionali all’estero e negli ultimi tre anni è stata presidente del Forum Università e ricerca del Pd. Fino alla nomina a ministro dell’Istruzione e dell’Università.
«Conosco da tempo Enrico Letta, la mia attività politica è iniziata nel Forum del Pd», spiega, «ed è coincisa con la segreteria Bersani. È stato lui prima delle elezioni a propormi la candidatura come capolista in Toscana e io ho accettato, con l’idea di lavorare sui temi della ricerca».
Lei ora si trova alla guida di un ministero delicatissimo, su temi che spesso hanno diviso il Paese, e in un governo di grande coalizione.
«La situazione politica è estremamente difficile ed è lo specchio della crisi del Paese. Mi rendo conto della gravità della situazione, per me è una grandissima responsabilità. C’è moltissimo lavoro da fare».
Quali saranno le sue idee-guida nel mondo dell’istruzione?
«La mia guida sono i principi della Costituzione, per nulla invecchiati. A partire dall’aiuto ai capaci e ai meritevoli a raggiungere i più alti livelli nello studio. E poi la centralità degli investimenti nella ricerca scientifica e tecnica. Però bisogna investire nel modo giusto, spesso ci sono stati In Italia sprechi e inefficienze. Vorrei far capire agli italiani che pagano le tasse che investire in istruzione e ricerca è una cosa utile».
Quali sono le sue priorità per gli investimenti?
«La ristrutturazione e la messa a norma degli edifici scolastici. È un problema enorme, e spesso ho visto Comuni che potrebbero investire ma sono bloccati dal Patto di stabilità. Poi vorrei introdurre maggiore efficienza nella valutazione dei progetti di ricerca: bisogna lavorare per meritare quei maggiori investimenti che giustamente si pretendono».
Lei eredita un’università post riforma Gelmini. Come si porrà rispetto a questo?
«Bisogna fare un’analisi seria per capire come è stata attuata la riforma, a volte in modo incompleto e diverso da come era previsto. Ci sono una serie di complicazioni burocratiche che vanno modificate, a partire dal reclutamento dei professori. Il problema principale è questo: non siamo ai livelli europei, c’è un reclutamento inceppato da problemi e ricorsi. Vorrei che l’etica pubblica e la reputazione dei docenti contassero più delle regole burocratiche, sul modello anglosassone. Per combattere la corruzione abbiamo riempito i percorsi di regole, e appesantito ogni processo di infiniti passaggi, senza riuscire neppure a centrare l’obiettivo di azzerare i fenomeni corruttivi. Su questo vorrei ragionare, al di là degli slogan».
Qual è il cambiamento più profondo che vorrebbe imprimere?
«L’istruzione come priorità assoluta per il Paese, conquistare la fiducia degli insegnanti, dei ricercatori, dei professori. Far capire che questo Paese investe su di loro. Bisogna investire in nuovi posti da ricercatori e professori. E i nostri ricercatori devono guadagnare quanto i loro colleghi europei».
Resta il fatto che il suo è uno dei temi più spinosi per un governo di larghe intese. Come intende risolverlo?
«Sono consapevole che saranno necessarie delle mediazioni tra posizioni diverse. Se si parte dall’idea di non distruggersi a vicenda e di fare il bene del Paese si può trovare un modo di lavorare. Vorrei dire basta alle guerre sul passato, cominciamo ad affrontare i problemi di oggi e le soluzioni possibili. Non intendo fare questo lavoro con un approccio ideologico».
Lei si porrà come un’«anti Gelmini»?
«Direi proprio di no. Non mi sono mai definita come anti qualcuno. Sono una persona interessata a far bene un lavoro per il Paese. Questi personalismi, queste divisioni tra il “bene” e il “male” sono un errore. Non sarò ossessionata dalle classifiche di popolarità dei ministri».
Come si pone nel dibattito che si sta rinfocolando tra scuola pubblica e privata?
«La scuola pubblica è la priorità e qui vanno gli investimenti. Questo non significa negare il ruolo della scuola privata».
Questo governo rischia di dividere i gruppi del Pd. Cosa ne pensa?
«Credo che sia necessario ascoltare tutte le opinioni, ma ho sempre ritenuto che in una squadra vadano rispettate le decisioni prese a maggioranza. E così ho fatto nei giorni dell’elezione del Capo dello Stato».
Ritiene giusto parlare di possibili espulsioni per chi non voterà la fiducia?
«Ripeto: sarebbe da irresponsabili non ascoltare le posizioni di tutti. Ma è giusto che ci sia una disciplina. Sulle espulsioni tuttavia sarei molto cauta».
Come definisce il governo che sta nascendo: politico o di emergenza nazionale?
«È un governo che in un momento difficile può prendere decisioni importanti per far ripartire l’Italia e favorire una riscossa civica. Spero che sia un governo di persone che vogliono lavorare insieme per uscire dallo stallo».
Il Pd sarà un sostegno o un ostacolo per il governo?
«Non mi illudo che sarà un rapporto semplice, dovremo essere capaci di parlare con tutto il Parlamento. Le Camere devono ritrovare un ruolo centrale, questo è un Parlamento rinnovato pieno di professionalità e competenze nuove e da valorizzare. Credo che occorra lavorare per metterle in gioco davvero».
L’Unità