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Rinnovo del Contratto, 200 Euro di aumento netti, la proposta di SBC

Rinnovo del Contratto della scuola, 200 Euro netti di aumento, SBC sta elaborando la propria proposta, ecco il  documento.

Cari colleghi S.B.C. Scuola Bene Comune ha elaborato un documento sul Contratto nazionale di Lavoro 2019/21 ( parte economica) successivamente prepareremo un documento sulla parte normativa, che come sapete é stata lasciata sostanzialmente invariata dall’ultimo contratto, rispetto a quello del 2007.

La nostra proposta é di un aumento spalmato nel triennio di 200 euro netti. Vi auguro buona lettura.

 Documento della S.B.C. su parte economica contratto nazionale Docenti e ATA 2019/21

Duecento euro netti di aumento per Docenti e Ata sono possibili entro il 2021 solo se c’è la volontà politica.
Se andiamo indietro nell’ultimo decennio sul trattamento economico dei docenti e del personale ATA in Italia per arrivare all’oggi, tre dati saltano agli occhi:

la spesa complessiva dello Stato italiano rispetto al Pil nella scuola, innovazione e ricerca che è mediamente di molto inferiore rispetto agli altri Paesi europei;

la retribuzione degli insegnanti rispetto a quella media degli altri Paesi europei anche quella di molto inferiore;

un blocco dei contratti nazionali, diventati triennali, che si è prolungato dal 2009 fino al piccolo incremento netto medio di cinquanta euro con il contratto 2016/2018, firmato alla scadenza di quegli anni e non all’inizio come accade sempre più spesso per tutti i contratti collettivi nazionali e la cifra vera di incremento soltanto nell’ultimo anno a regime.

Per questi tre motivi parliamo di “contratto di risarcimento” e non del solito rinnovo “ordinario” 2018/2021 che non tiene conto di quello che è avvenuto nel mancato riconoscimento economico della funzione docente e del personale amministrativo, tecnico e ausiliario della Scuola per quasi dieci lunghi anni, compreso l’allungamento degli scaglioni per gli scatti automatici di stipendio e l’annullamento per tutti di quello del 2013.

Siamo una categoria complessa dove chi non voleva aumenti stipendiali per tutti e il riconoscimento dell’anzianità di servizio come “merito”, come avviene in tutto il mondo, ha avuto gioco facile con i bonus di fedeltà al dirigente, carte docenti irrilevanti nello stato di servizio e inutili dal punto di vista contributivo, discriminazioni che oggi si teorizzano con la regionalizzazione differenziata, super aumento alla dirigenza scolastica in un colpo solo e altre amenità che servono solo a dividere una categoria già fortemente condizionata alla divisione interna dalla legge 107/2015 e non a caso tendente alla funzione impiegatizia di tipo aziendale al servizio dell’economia, delle competenze piuttosto che delle conoscenze o entrambe, una categoria predisposta all’individualismo, alla competizione nel proprio lavoro che prescinde dalla funzione principale che è l’insegnamento in classe. Una scuola che, nello spirito della 107, sarebbe quella voluta, dalla confindustria, dalla Treelle e fondazione Agnelli. Valutata arbitrariamente da organismi come Invalsi che indirettamente pretenderebbero di valutare anche i docenti o, per quanto riguarda il microcosmo delle singole autonomie scolastiche, la valutazione insulsa di quanti operano nel team del dirigente scolastico, delle RSU, dei progettifici inutili e dispendiosi, la cosiddetta formazione in itinere, adempimenti burocratici devoluti all’insegnante e chi più ne ha più ne metta.
Ma all’origine del riconoscimento economico c’è sempre la volontà politica, dei governi, il Parlamento, le forze politiche nel loro complesso. Non è mai soltanto il Ministro della Pubblica Istruzione, non sono soltanto i sindacati che trattano con lui di scuola e che non sono mai riusciti a fare un discorso di sistema sulla centralità della Scuola in un Paese non soltanto per se stessa ma indispensabile anche per la crescita economica e culturale dell’intero Paese, il grado di civiltà educativa che si misura rispetto all’immagine complessiva e allo sviluppo economico e civile, l’idea di un futuro che l’Italia dovrebbe avere ben chiara per risollevarsi.
Quando, dunque, chiediamo un riconoscimento economico di tale portata, i 200 euro netti al mese di aumento in un triennio quale risarcimento e parziale allineamento al trattamento dei docenti negli altri Paesi, chiediamo molto di più della semplice monetizzazione di una funzione, chiediamo il rispetto e la centralità della Scuola in un Paese, come l’Italia, dove quel rispetto e quella centralità si è persa.

Ma siamo gente responsabile e non vogliamo fare demagogia.

Sarebbe facile, come è stato fatto anche nel recente passato, chiedere i 200 euro subito senza tenere conto dell’attuale situazione economica e finanziaria del nostro Paese e senza indicare come fare per trovare le risorse, anche all’interno della spesa per l’istruzione, risorse che comunque non basterebbero senza una consistente quota aggiuntiva che lo Stato deve trovare se vuole farlo e se la categoria, insieme a tutti i sindacati, riesce a tenere un profilo alto e di unità sostanziale su questo punto, si muova, se necessario, anche con iniziative di protesta adeguate.

La scuola pubblica è un bene comune, fa parte dei diritti universali del cittadino, non è un servizio ma un’Istituzione contenuta nella Costituzione Italiana. Chi vi lavora ha diritto a riconoscimento, rispetto e dignità, non è un missionario ma un professionista.

Dove trovare i soldi?

Lo abbiamo indicato da anni individuando alcuni sprechi interni e contentini dei governi di turno che, per avere una dignità, devono entrare nello stipendio come la carta docenti e i bonus, va abolito l’Invalsi, vanno ridotti gli apparati ministeriali e la pletora di consulenti, esperti e funzionari (molti di origine e nomina politica) al centro e nelle direzioni regionali del Miur, l’inserimento nel contratto del 50% del fis, distinguere il contratto per la funzione docente dai finanziamenti previsti per il pubblico impiego dove esistono altre forme di incremento e progressione di carriera. Secondo il gruppo Scuola Bene Comune si possono trovare finanziamenti anche con la prevista riduzione dei Deputati e dei Senatori o delle loro indennità, altri fondi con le riduzioni dei fondi derivanti dalla riduzione del finanziamento alle scuole paritarie e da quello derivante dalla riduzione del 70% per alternanza scuola lavoro.Ma tutto questo farebbe un risparmio da destinare interamente al nuovo contratto ancora insufficiente, insieme alle previsioni di bilancio e consuntivo del vecchio governo, utile solo all’incremento di appena 100 euro netti, che si precisa a tutti i livelli, devono essere netti, per il solo 2019 in termini ormai di arretrati e niente per il 2020 e il 2021. Allora, sì all’aumento di 100 euro netti, le tre cifre, per il 2019 ma guardiamo decisamente e con coraggio ai prossimi due anni, quelli che chiuderanno il contratto triennale, con altra ottica per recuperare ancora gli altri 100 euro e arrivare ai 200 netti nel 2021 come risarcimento degli ultimi dieci anni.

Si può fare solo se c’è volontà politica, se il Ministero dell’economia soprattutto, su indicazione dei partiti e movimenti di maggioranza, del governo e del Parlamento, sarà investito da questa questione, se nei rapporti con l’Europa si difenda quella scelta di puntare sulla Scuola e sulle disparità con tutti gli altri Paesi su questo specifico punto. Se, com’è giusto, si chiederanno sforamenti di deficit sugli investimenti pubblici bisogna che si consideri la scuola come il primo e più grande investimento che un Paese può fare.

Cos’è la legge di stabilità se non questo? Frutto di scelte per l’anno successivo e una visione di Paese di respiro almeno triennale. Per questo bisogna anche guardare al sistema complessivo, alla riduzione del cuneo fiscale che ci deve interessare, all’abbassamento effettivo delle tasse, tutto fa stipendio e reddito con il suo potere d’acquisto. Sul potere d’acquisto, la riduzione dei consumi interni, si sono verificate in questi ultimi dieci anni fenomeni di impoverimento del ceto medio, dei docenti e personale della Scuola. Il Paese rischia di non crescere più e non vede, come fanno invece tutti gli altri, la scuola, la ricerca e l’innovazione come motore indispensabile di questa crescita.

Le tabelle sugli stipendi degli altri Paesi li conosciamo, in tutte purtroppo si guarda al lordo, non si tiene conto della maggiore imposizione fiscale in Italia, ma tutti ormai sono mediamente superiori a quelli italiani. Non c’è ragione di costo della vita che tenga, il divario è troppo grande anche in Paesi come quelli mediterranei che hanno un costo della vita inferiore, provate a chiedere ad un docente a Milano e nel centro delle grandi città, provate a chiedere anche ad un docente che vive nel paesino sperduto del Mezzogiorno se con quello stipendio riesce a condurre una vita dignitosa se non c’è altro reddito in famiglia o se vuole farsi una famiglia.

Certo la sproporzione può essere enorme in Germania o nei Paesi nordici ma quegli stipendi sono enormi, allineati a maggiori stipendi nel pubblico e nel privato, più del doppio di quelli italiani, frutto di economie forti. Quindi inutile e fuorviante discutere di lana caprina, subire e adattarci ad un trattamento al ribasso incomparabile ormai per professionisti tutti laureati, abilitati e specializzati come sono nella scuola di ogni ordine e grado.

A questo proposito vale la pena di interrogarsi anche sulle differenze interne tra infanzia e superiori, stringere la forbice dei precedenti contratti, interrogarsi sull’incremento delle fasce stipendiali automatiche ad inizio e fine carriera. Su tutto questo, inutile dirlo, incide anche il trattamento di fine rapporto e la pensione, questi si incrementano garantendo dignità dopo il servizio solo se si incrementano gli stipendi, se si può partecipare a tutele assicurative o fondi pensioni con il supporto dello Stato, no a piccoli fondi pensioni come gli attuali a gestione sindacale che immobilizzano capitali e incerte rivalutazioni.

Se quello che abbiamo scritto finora è ragionevole, la prima cosa che occorre è crederci, operare perché questa svolta avvenga. Basta con le lamentele generiche, con docenti che si rassegnano e si arrendono, con sindacati troppo conciliativi che si accontentano delle tre cifre generiche e probabilmente intese al lordo da chi fa di queste proposte e proclami.

I docenti e ata non possono fare altro che indicare questi obiettivi, lo hanno fatto in decine di migliaia nei social, le raccolte firme, questo documento è un ulteriore contributo, saranno i sindacati rappresentativi e il governo che si incontreranno o si scontreranno su questi temi. Noi abbiamo il privilegio di parlare a tutti i protagonisti senza pregiudizio cercando di interpretare da dentro quello che la Scuola pubblica chiede.

Ciascuno, dove può, faccia la propria parte. Non bisogna mollare su questi obiettivi, non giocare al ribasso, non accontentarsi, ne va della dignità, del rispetto e considerazione sociale della categoria, ormai è in gioco la garanzia di un tenore di vita adeguato al decoro della figura del docente e del personale della scuola in questo Paese.

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