SULLA DAD PROVIAMO A FARE UNA SINTESI IMPOSSIBILE E QUALCHE CHIARIMENTO CHE IL MINISTERO ISTRUZIONE OMETTE

Il Ministero Istruzione (in sigla MI, come la targa di Milano, separato dall’Università e Ricerca, che noi vorremmo che si chiamasse MPI con l’essenziale lettera “P” che sta per “pubblica”) insiste sin dal primo giorno dell’avvento del coronavirus in Italia, come se non aspettasse altro che un evento qualsiasi ordinario o di qualche rilevanza per compiere il bltiz dell’imposizione della DAD da estendere a tutte le scuole, dall’infanzia alle superiori (in teoria dai 3 anni di età o anche meno fino ai 18 o anche più e persino ai ragazzi diversamente abili verso i quali si ritiene di grande portata consentire loro di vedere lo schermo di un computer e l’abbraccio allo stesso nella sensazione di ritrovare la maestra e i compagni.

Premesso che nessun docente ha niente contro l’uso delle nuove tecnologie e dello stesso tentativo di fare scuola telematicamente in situazioni eccezionali e questa è più che eccezionale, se si mantengono i piedi per terra e si ha coscienza della situazione data, intendendoli le une e l’altro nella giusta misura sperimentale di supporto e non come strumenti strategici ed esaustivi del fare scuola, insostituibile la scuola vera che si fa a scuola.

Una categoria come i docenti, “gente di scuola” come in gergo ci chiamano quelli che ci vogliono bene, ha sperato come tutti che questa emergenza sanitaria durasse pochi giorni e nella stragrande maggioranza si sono collegati come potevano con i loro studenti e alunni, per telefono o con mezzi informatici, augurandosi di rivederli presto a scuola. Un primo DPCM fissava una scadenza della sospensione didattica fino al 15 marzo troppo ravvicinata e non si capisce perché, un secondo la portava al 3 aprile, vietato parlare di chiusura delle scuole come adesso stanno facendo quasi tutti i Paesi europei. Lo slogan, a dispetto, di ogni senso di priorità, era ed è ancora “la scuola non si ferma” come se qualcuno pensasse che potesse andare avanti fregandosene del coronavirus e che quello fosse il messaggio più importante per un Paese in pieno dramma. I docenti, tuttavia, lo hanno fatto da subito per deontologia professionale e per il loro ruolo sociale, non è una categoria in vacanza e non ha procurato nessuna ulteriore mobilità uscendo dal proprio domicilio di lavoro ma rimanendo a casa in condizione di “sospensione delle attività didattiche”. Sappiamo che 900mila insegnanti e 200mila di personale ata, in parte significativa che lavorano al Nord e che provengono dal sud, non hanno preso aerei, treni o bus per fuggire nei loro paesi d’origine dove hanno spesso famiglia e comunque gli affetti più cari. Sanno di dover rinunciare anche per le vacanze di Pasqua a prenotazioni aeree già pagate.

Non ci si muove da dove si sta ormai realisticamente per almeno tutto il mese di aprile se va bene.

Il Paese si ritrova in una situazione drammatica senza precedenti recenti se non le guerre mondiali, sono messe in gioco tutte le nostre abitudini di vita e di relazione sociale. La priorità è sconfiggere il virus seguendo le indicazioni del governo che ha fatto proprie le indicazioni dei migliori scienziati, studiosi ed esperti disponibili, ogni giorno della nostra vita non può prescindere da quell’unico pensiero che è legato all’emergenza sanitaria. Questa è la condizione in ogni angolo del Paese, tutto il resto, scuola compresa, viene dopo. Per qualcuno incredibilmente e di dubbia sensibilità non è così.

Oggi, perdurando l’emergenza sanitaria oltre ogni previsione, non per l’imposizione ministeriale ai soli dirigenti scolastici, unici interlocutori considerati da viale Trastevere e le sue sedi regionali e provinciali o d’ambito, registriamo che, spontaneamente, la quasi totalità dei docenti si sono attivati per sentire i loro alunni e studenti. Sottolineiamo “spontaneamente”, in forma volontaria e senza alcun obbligo da parte loro e, naturalmente, senza alcun obbligo degli stessi alunni e studenti con relative famiglie.

Ebbene, se questo è lo stato delle cose, quale messaggio è arrivato dal Ministero dell’Istruzione sin dal primo momento, in seguito con invenzioni le più varie dei dirigenti scolastici, collegi docenti senza alcuna legittimità, registro elettronico, presenze e assenze, firme e persino valutazioni, fino all’affondo del Ministro in diretta facebook della sostanziale soppressione dell’art. 33 della Costituzione, quello che riguarda la libertà di insegnamento. Serve per sconfiggere il virus abolire la funzione docente e approfittare adesso e subito per proclamarlo, per mettere i docenti all’angolo nella piena e sostanziale filosofia della legge 107 sposando il mito del web e della didattica a distanza? Surreale.

Una prima considerazione è inevitabile, può un Ministero, a partire dal suo capo pro-tempore, mobilitare tutti gli uffici sull’unico tema della didattica a distanza? Può imporre in un momento come questo scartoffie e burocratismi a scuole sostanzialmente chiuse pretendendo di regolare con cinismo, con note, circolari, monitoraggi sospetti, suggerimenti di piattaforme, violazioni della privacy dei docenti, del personale della scuola estese a famiglie e minori, tutte cose che non hanno validità di diritto, un tema di così grande portata? Può farlo saltando a piè pari una realtà evidente a tutti di altro segno nel sentimento generale e, per l’argomento specifico della DAD, un tema mai studiato a fondo, senza nessuna legge o norma di attuazione, senza considerarne i presupposti, senza vincoli contrattuali per il personale, senza aver mai coinvolto i destinatari di questa panacea risolutiva di ogni problema e cioè gli alunni e studenti? Può farlo? E, soprattutto, può farlo, considerando la scuola solo come pubblica amministrazione, un ufficio qualsiasi del Comune che rilascia lo stato di nascita o di residenza con il suo capoufficio? Può farlo come un’azienda pubblica o privata che tiene in conto lo smartworking nel suo lavoro come fatto ordinario o avendo a che fare con la tecnologia per i suoi servizi e non con l’educazione e formazione delle nuove generazioni di un Paese? Dov’è finita la scuola pubblica come Istituzione Costituzionale, dov’è finita la “funzione docente” che la differenzia dalla pubblica amministrazione e guai se non lo facesse malgrado alcune leggi del passato che indicavano il dirigente scolastico come datore di lavoro o la scuola dell’autonomia malamente intesa. Perfino quelle stesse leggi, applicate con misura e talvolta fuori misura, vengono oggi paradossalmente superate dal Ministro che ordina ai suoi comandanti di una nave, con tanti Schettino, di eseguire le sue direttive facebook seppellendo anche quello che c’era di buono nelle contraddizioni del passato come gli organi collegiali, il principio di democrazia e condivisione nelle scelte dell’autonomia tuttora, almeno quello, in vigore.

Da subito il blitz del Ministero Istruzione è diventato invadente e siamo arrivati al massimo della negazione dell’art. 33 della Costituzione, mai citato da questa gestione come mai considerati i docenti. Una situazione ormai insostenibile che non accenna a fermarsi. Tutto ciò mentre i docenti lavorano indipendentemente e senza avere alcun aiuto di qualche utilità dalle loro scuole, solo carte e circolari, tutte ignorabili non avendo nessun fondamento giuridico e, soprattutto, nessun fondamento nella realtà e qui c’è da aprire un nuovo piccolo capitolo. Un’analisi, seppure essenziale, della realtà quando si parla di didattica a distanza.Quali sono le reali condizioni delle scuole e del Paese in rapporto alle nuove tecnologie informatiche?

Non si può che partire da questo presupposto avendo ben presente che queste condizioni non mutano in qualche settimana o grazie alle dirette facebook del Ministro, non mutano neanche con una cifra ridicola inserita nell’ultimo DL riservata a questo e voluta, ipocritamente e come fatto emergenziale dal Ministero, di qualche decina di milioni di euro da condividere per un elenco di cose da fare subito, immediatamente, domani mattina.

In quell’elenco c’è soprattutto la formazione tutta gestita da privati, l’acquisto di attrezzature per le scuole e addirittura il comodato d’uso per le famiglie bisognose di tablet, arredo e corredo, assunzione di tecnici, uso mai gratuito e semmai diversamente gratuito di programmi, piattaforme, applicazioni. Un profumo di soldi per ogni operazione commerciale e speculativa. Per tutto questo e chi più ne ha più ne metta, solo 85milioni di euro, piccola e inutile cifra in questo momento, sottratta al DL per una fissazione o motivazioni peggiori, quando ogni sforzo va rivolto alla lotta contro il coronavirus, inutile anche soltanto per cominciare a parlarne, siamo intorno a 10 euro per ogni studente e alunno di investimento, molto meno e insignificante se diretto a famiglie bisognose, mediamente bisognose com’è il ceto medio italiano, non bisognose.

Allora cominciamo con il dire che se si vuole fare didattica a distanza non è cosa esclusiva del Ministero Istruzione, dovremmo dire in questa fase per fortuna, ma un immenso impegno del Paese sugli investimenti di connessione e mobilità che oggi è sottodimensionato rispetto ai Paesi più avanzati, si tratta di anni e di miliardi di euro. Si tratta di banda larga che raggiunga tutto il Paese, di costi per imprese e famiglie compatibili etc.

Insomma e per farla breve, non c’è in Italia il presupposto fondamentale per qualunque attività telematica, didattica a distanza compresa, che copra tutto il Paese e non lasci fuori intere aree soprattutto nel sud, sarebbe per un’Istituzione pubblica come la Scuola un fatto discriminatorio. Sarebbe per molte scuole, famiglie, adolescenti e ragazzi un lusso impossibile da sostenere.

Un secondo punto di stretta analisi della realtà riguarda la preparazione nelle scuole dell’infanzia, della primaria e secondaria inferiore del tutto assente o quasi sull’argomento e talvolta impossibile da ricevente e da emittenze di dubbia provenienza.

Qualche esperimento di maggiore successo si può avere nelle scuole superiori e, con tante contraddizioni e polemiche nelle Università, anche qui però insostituibile l’attività in presenza e dei campus ma tollerate anche le video lezioni e le telematiche.

Su tutto questo il ritardo della scuola italiana è enorme e risale ai tagli sulle spese per l’istruzione e la ricerca, ai mancati investimenti e un rapporto sul pil-spesa istruzione molto inferiore alla media europea, insegnanti sottopagati etc.

Questi elementi essenziali sono persino fastidiosi da citare e tentare di approfondire in questo momento anche per noi, niente di urgente. Sono tutte storie da rinviare alla fine dell’incubo che stiamo vivendo, non sono cose da scrivere oggi e ci scusiamo se invitiamo qualcuno a leggerle come non sono cose che il Ministero Istruzione avrebbe dovuto mettere al centro del suo protagonismo, bastava rivolgersi e affidarsi agli insegnanti in punta di piedi, con rispetto e fiducia, per attivare quello che gli stessi insegnanti stanno già facendo, senza autoritarismi e imposizioni, senza bisogno di comandanti, non siamo forze armate.

Quello che è urgente, invece, è finirla con i proclami del MI e le polemiche, rendersi conto dello stato di un Paese che sta attraversando un dramma. Tutti e ciascuno di noi è chiamato a fare la sua parte, lo stiamo facendo, lo stanno facendo anche gli studenti più autonomi e già dotati della strumentazione necessaria, soprattutto delle superiori, ma lo sguardo va rivolto anche ad alunni che non sono in condizione di farlo, ci sarà bisogno di recupero e di comprensione anche verso coloro che vivono l’ansia degli esami di maturità e che, fino a ieri, hanno dovuto vedersela con inutili test invalsi e dannosa alternanza scuola lavoro per dirla con Alessandro Barbero.

Tutto questo pone seriamente il problema non risolto della privacy, della protezione dei dati personali dei docenti, famiglie e minori. Non si tratta solo di dirigenti scolastici che fanno da sponda a dati riservati dei docenti, telefono o indirizzi e.mail personali, pubblicano persino indirizzi e dati su ragazzi e famiglie della loro scuola. I docenti abbiano prudenza in tutto questo, il rischio è altissimo.

Non sottovaluti il Ministero questo problema, non c’è nessuna garanzia su possibili illeciti e ricorsi. Non c’è nella legge e nelle documentazioni di accesso alla scuola nessuna autorizzazione preventiva che riguardi la didattica a distanza.

Di tutto c’è tempo per riparlarne, forse conviene a tutti il silenzio anche sulla didattica a distanza in questo momento, farla saggiamente come si può e dove si può ad esclusivo e libero giudizio di ogni insegnante, il Ministero si fermi, si chiudano davvero le scuole, i suoi dipartimenti hanno già scritto abbastanza, il dirigismo quotidiano complica e confonde, tutto è rinviabile. Ci vuole tanto a dire un semplice grazie a tutti i docenti e al resto di questo Paese, fermarsi lì.

Saranno i momenti istituzionali a continuare il discorso quando sarà possibile, quando alle parole del Ministro e dei suoi dirigenti seguiranno atti concreti che non ci sono e non ci potranno essere se non condivisi dal governo, dal parlamento, dalla contrattazione sindacale e dalla comunità educante che ha al centro e sul campo soprattutto gli insegnanti. Se ne ricordino al Ministero. Senza di loro e il loro consenso si illude chi pensa di decidere da solo e alla fine perde.

Se il Ministero Istruzione continuerà su questa strada, intralciando il lavoro dei docenti con continue carte, continuerà ad imporre scuole aperte sacrificando ata e torturando anche i ds su obiettivi personalistici ed estemporanei, lezioni di pedagogia a chi fa della pedagogia professionalmente la sua attività di lavoro sul campo e non solo teorico da una scrivania, si dovrà reagire. Partiti, movimenti e sindacati non possono stare a guardare.

Abbiamo messo nel titolo che era impossibile la sintesi e abbiamo solo scritto qualche considerazione spicciola, speriamo nella sufficienza o nel voto di un sei politico. Grazie a chi è giunto fin qui.

S.B.C. Scuola Bene Comune
P.S.P. Partigiani Scuola Pubblica
“Scuola&Politica”