HomeScuolaIl tabù salariale nascosto della scuola è un patto disonesto?

Il tabù salariale nascosto della scuola è un patto disonesto?

In Italia, lo denunciamo da anni, esiste un problema stipendi

Pagare stipendi bassi per poco lavoro è il patto silenzioso e disonesto che ha sostenuto a lungo il sistema scolastico. Invece di infrangere il tabù della parità di retribuzione per tutti, ci siamo arresi alla logica dei piccoli aumenti generalizzati. Difficile dire se sia stata più significativa la resistenza dei sindacati o l’oggettiva difficoltà di trovare un modo attendibile per misurare l’impegno, la capacità e i risultati degli insegnanti. Quando il dibattito sull’equo compenso è stato aperto, è finito in un vicolo cieco.

L’ultimo incidente è avvenuto pochi giorni fa quando il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha fatto alcune osservazioni sul trattamento economico iniquo degli insegnanti che lavorano in zone dove il costo della vita è più alto ma sono pagati come tutti, cioè “in anzi, meno». Nonostante il ministro abbia negato di aver messo in discussione il contratto nazionale, questa dichiarazione ha scatenato le proteste di sindacati e partiti di opposizione, contrari a salari più alti al nord rispetto al sud.

L’ipotesi di differenziare gli stipendi in base alla geografia non solo non ha nulla a che vedere con il merito, ma anche se la Lega realizzasse il suo progetto di autonomia differenziata, non basterebbe a convincere gli insegnanti meridionali, per lo più donne over 30, a lasciare casa, marito, e figli per un lavoro al nord. Lo si è visto nel 2015 con la battaglia di Renzi contro il “supplentismo”: dei quasi 100.000 posti disponibili, meno della metà sono stati occupati.

Il problema della carenza di personale, soprattutto in materie come matematica e informatica, dove la concorrenza delle imprese è agguerrita, non affligge più solo Milano e Torino ma anche Roma e Napoli. Diversi fattori hanno contribuito a rendere meno attrattiva l’insegnamento: non solo i bassi stipendi ma anche l’incertezza nell’accedere al ruolo, l’aumento del carico di lavoro e la perdita di prestigio sociale. Gli insegnanti italiani sono pagati meno dei loro colleghi europei; secondo l’ultimo rapporto Eurydice, un insegnante francese guadagna un terzo in più e gli insegnanti tedeschi guadagnano più del doppio. Il divario si allarga a fine carriera perché in Italia non esiste la carriera di insegnante. Ogni tentativo dagli anni ’90 di introdurre un meccanismo di avanzamento diverso dall’anzianità è fallito, compreso il “grande concorso” di Luigi Berlinguer,

Per andare al nocciolo della questione, il presidente della Fondazione Agnelli, Andrea Gavosto, ha proposto di pagare di più tutti gli insegnanti, purché trascorrano più tempo a scuola, così da trasformare quello che è solo parole in un lavoro part-time (è difficile rendere conto del tempo dedicato alla preparazione delle lezioni e alla correzione dei compiti) in uno a tempo pieno. Questo è l’unico modo per invertire la tendenza che ha visto i migliori talenti?

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