di Carlo Forte
L’incremento delle immissioni in ruolo per i docenti di sostegno rischia di lasciare a casa i docenti precari che lavorano ogni anno sui posti in deroga. Si tratta mediamente di 3600 docenti (l’anno scorso i posti in deroga sono stati 3.665) che rischiano di non lavorare più, quando andranno a regime le nuove norme previste nel decreto legge sulla scuola (104/2013).
Il provvedimento, infatti, per consentire la disposizione di circa 26mila immissioni in ruolo sul sostegno, prevede l’aumento delle disponibilità nell’organico di diritto. E ciò fagociterà i posti in deroga che annualmente vengono autorizzati sull’organico di fatto. Dunque, se le nuove assunzioni sul sostegno sono certamente un bene per tanti, lavoratori e studenti, non lo sono per tutti. Ecco come funziona il meccanismo. Ogni anno il ministero dell’istruzione calcola il numero complessivo delle cattedre e dei posti da autorizzare per l’anno successivo. E lo fa secondo le previsioni che scaturiscono dai dati sulle iscrizioni degli alunni fino a una certa data. L’organico previsionale che viene fuori, noto agli addetti ai lavori come organico di diritto, di solito non riesce a coprire tutte le necessità. In modo particolare per quanto riguarda il fabbisogno di docenti di sostegno. E siccome il diritto all’istruzione e all’integrazione degli alunni portatori di handicap è tutelato dalla legge, se un alunno disabile rimane senza insegnante di sostegno, e i genitori vanno davanti al giudice, la soccombenza in giudizio per il ministero è pressoché scontata.
Le disponibilità che spuntano a settembre
L’amministrazione, quindi, per fare fronte alle necessità che comunque vengono fuori di anno in anno, autorizza a settembre la costituzione di altri posti di sostegno in aggiunta rispetto ai numeri dell’organico di diritto (posti in deroga). L’anno scorso questi posti sono stati 3665. Di solito queste disponibilità, proprio perché vengono fuori all’ultimo momento, sono assegnate ai docenti che non sono riusciti ad ottenere l’incarico nella prima tornata di nomine. Si tratta di precari che non si trovano i vertici delle graduatorie a esaurimento (con meno anzianità di servizio, ma non per questo meno titolati). E quindi, in prima battuta, non riescono ad ottenere la supplenza. Salvo rifarsi nella seconda tornata di nomine, quando vengono fuori le nuove disponibilità per i posti in deroga.
Paradossalmente, dunque, l’aumento delle disponibilità in organico di diritto, che costituisce il presupposto necessario per consentire l’incremento delle immissioni in ruolo, per questi docenti rischia di diventare una vera e propria iattura. Le assunzioni a tempo indeterminato, infatti, vengono disposte al 50% traendo gli aventi titolo dalle graduatorie dei concorsi ordinari. E il restante 50% dalle graduatorie a esaurimento. Così facendo, i docenti che saranno individuati tramite lo scorrimento delle graduatorie dei concorsi andranno a coprire proprio quelle disponibilità che fino a quest’anno erano state utilizzate per i posti in deroga. E i precari storici, che non si trovano in pole position nelle graduatorie a esaurimento, potrebbero rimanere senza lavoro. In buona sostanza, dunque, l’ampliamento dell’organico di diritto non determinerà un forte aumento dei posti veri e propri.
I costi solo per la ricostruzione di carriera
Ma spesso solo una diversa qualificazione degli stessi. E l’aumento dei posti in organico di diritto precluderà il consueto incremento dei posti in organico di fatto. Che non sarà più necessario. Tant’è vero che il governo, nella relazione tecnica al decreto, ha spiegato che i costi delle nuove immissioni saranno pari al mero costo delle ricostruzioni di carriera: circa 4mila euro per ogni immissione in ruolo. Perché il costo degli stipendi sarà più o meno lo stesso.