HomeLettere in RedazioneSCUOLA: ANATOMIA D’UNA ROVINA. All’origine c’era la SCUOLA!

SCUOLA: ANATOMIA D’UNA ROVINA. All’origine c’era la SCUOLA!

L’analisi che segue parte da una considerazione che fece una mia amica della prestigiosa University of Oxford. La sua domanda fu: «What has happened to Italian students? In earlier times you sent us excellent students, they wrote marvellous, personal and deep essays , now they have become as unqualified as ours!» (Trad.: «Cosa è successo agli studenti italiani? Prima ci arrivavano studenti eccellenti che scrivevano tesi meravigliose, personali e profonde; ora, invece, sono uguali ai nostri in termini di “non preparazione”»!). Considerai il giudizio molto veritiero in quanto esprimeva ab imis non solo un rammarico per il decadimento della nostra Istituzione scolastica ed accademica, ma anche autocritica per il sistema educativo britannico.

Ebbene, non seppi cosa risponderle. O meglio, avrei saputo, ma mi necessitavano pagine e pagine di scritto per darle una risposta esaustiva. Mi limitai a offrirle la prima parte del chiasmo di foucaultiana memoria sulla Follia: «Rovina di un’Opera».

I grandi padri del passato, pensatori prima, legislatori poi, avevano ben intuito che l’universo dell’anima necessitava di argini. Bisognava costruire l’Uomo! Bisognava transitare dallo stato di natura a quello di cultura, creare un’«Opera» dalle «Rovine» (seconda parte del chiasmo foucaultiano) e per compiere una tale ardua impresa  occorreva tessere la filigrana con maestria, decoro, conoscenza. Cosa furono (e, per fortuna, ancora sono, laddove c’è resistenza) le «materie» scolastiche se non il tentativo sovrano di aprire ai discenti le vie dell’essenza? Cosa fu la triade «leggere, scrivere, far di conto» se non il sano tentativo di fornire loro le chiavi ermeneutiche del mondo? E’ vero, si era nel periodo tra le due Guerre, periodo difficile della Storia, ma «i fiori» non vengono forse dal «Male»?, la crescita di uno Stato, lo sviluppo di una persona … non accadono forse nella coscienza di un perfezionamento continuo in fieri, foss’anche solo meditato?  Generazioni e generazioni successive hanno tratto giovamento dalla sovranità di un ordine normativo, educativo, formativo impartito, implicito ed esplicito. Lo studente in illo tempore aveva la consapevolezza che un qualsivoglia compito (intra-, extra-diegetico) dovesse  essere, oltre che inaugurale, anche compiuto, finito, escatologico. Perché tale è il viaggio dell’Uomo: una semplice pasoliniana «tregua tra due mondi».

Après cela, le déluge!

Dopo i suddetti prolegomeni, la «Rovina». Nelle ultime due decadi all’incirca, il marmo del colosso si è sgretolato e l’Opera è divenuta Rovina. Un intero magma indistinto di politici, legislatori, studiosi, defensores iuris socialis, personale stesso operante nella Scuola, pur di lasciare il marchio marcatamente indelebile della loro firma su riforme dettate più dall’ignoranza del settore e spinte dalle bieche leggi del mercato che non da conoscenza diretta della sfera educativa e da tutto ciò che da essa emana (conoscenza, in primis) e che essa produce (abilità e competenze), ha vanificato l’operato lodevole dei suoi predecessori.

Polifonicamente, pedissequamente, perentoriamente tutto il gota politico, legislativo, accademico, ecc. ecc. ha auspicato l’avvento di un Nuovo, in nome e per conto dell’opacità. Ignaro delle reali condizioni, economiche e sociali e, conseguentemente, culturali, dei cittadini italiani, il “gota” di cui sopra ha esaltato, ed esalta tuttora, il nulla, l’apparenza, convinto che vivere nel mondo digitale voglia dire automaticamente essere più evoluto. L’avvento della rete, le lavagne interattive, le lavagne con pennarello, i registri elettronici dagli algoritmi molto discutibili, la blended (or hybrid) school, gli Erasmus, gli scambi culturali lato sensu, i viaggi di istruzione, le certificazioni linguistiche, i PCTO, gli Open Days (tradotto, campagna acquisti), i saggi di fine anno, gli incontri con Tizio, Caio e Sempronio, l’INVALSI, il libro mastro dei Crediti, dei Debiti, griglie di valutazione psicotiche in cui lo 0,10 di punteggio per impegno, partecipazione, assiduità al dialogo educativo soggiace allo 0,15 per partecipazione a progetti esterni, progetti di ogni sorta e, perlopiù, di sorte incompiuta. Attività che sono delle vere e proprie Fiere della Vanità votate più all’autoreferenzialità di qualche docente amante del palcoscenico che non alle loro ricadute in termini educativi; i 15 euro quotidiani per i Docenti che a settembre compongono le commissioni per gli esami di idoneità, 30, 40, 50 … euro orari per i loro colleghi che fanno corsi extracurriculari e … chi più ne ha più ne metta

Che poi la stragrande maggioranza delle famiglie italiane non abbia accesso ad internet, non possieda i dispositivi informatici, non abbia i mezzi economici per spostarsi o per pagare un titolo extramoenia, che facciano Percorsi per le Competenze Trasversali per l’Orientamento in aziende che nulla hanno in comune coi loro piani di studio (studenti dei Licei classico, scientifico e/o linguistico presso aziende odontotecniche oppure nei pronto soccorso a maneggiare, nella migliore delle ipotesi, siringhe senza protezione alcuna), la cosa non riguarda i signori che vivono nella piccolezza dell’Eldorado delle loro tasche e delle loro misere convinzioni.

Il sovvertimento dell’intero sistema scuola non può essere gestito da una genìa di incapaci, a distanza siderale dalla realtà, che rovesciano l’ordine naturale delle cose, di quel centro di gravità che i grandi del passato avevano preso in considerazione quale argine essenziale ai confini del Sapere. Est modus in rebus, Post hoc, ergo propter hoc, ricordate? E’ innaturale accettare l’assunto: COMPETENZA, à tout prix. Una competenza è il risultato di una conoscenza o di un’abilità (know-how, come si preferisce dire ora), ma anche, e soprattutto, dell’esperienza su cui solo il fluire del tempo incide. Un tempo la COMPETENZA era l’approccio serio e coscienzioso che lo studente profondeva nello studio e che, dopo anni di sacrifici e di gavetta, produceva i suoi frutti. 

Precorrere il Tempo è dunque agire contro natura. E’ un crimine avverso l’umanità. 

Le generazioni dei nostri studenti sono figlie di un pensiero criminale che vuole renderle schiave delle brutture del tempo, della sua scatologia. Piuttosto che osannare la bellezza, seguendo i cronotopi naturali (Tempo/Spazio, Sintagma/Paradigma, Alto/Basso, X/Y, Vita/Morte …), la Scuola di oggi propone loro l’inganno etico attraverso la maschera formale e semantica  di una diegesi che de facto non esiste e che de jure non dovrebbe esistere.

Da qui i prodromi della diffidenza, vulnerabilità, inquietudine, alienazione, catatonia, schizofrenia, anedonia rinvenibili oggigiorno negli operatori della Scuola e suoi fruitori.

Cui prodest? Réddite quae sunt Caésaris Caésari et quae sunt Dei Deo!

E ancora: programmi scolastici contratti fino all’osso, fino al punto da divenire manuali Bignami da ultimi della classe. 

La STORIA cancellata dagli Esami di Stato. Non oso immaginare la reazione di un Hegel o dei rappresentanti della Frankfurter Schule. 

La Scuola non può, e non deve, essere Tutto. Perché rischia di diventare Niente. Ed è quel che sta accadendo. 

Dal lato docenti, l’Habeas Corpus di una passione per un mestiere (nel senso pavesiano del termine) si è tramutato nella sua assenza, nella sua ombra, o nella sua hybris. Le compagini dei Docenti oggi formanti il corpus di una scuola (o quel che ne resta, per restare dentro la metafora) posseggono esordi e percorsi diversi che rischiano di trasformarsi in lotte fratricide. Tra di loro c’è chi ha iniziato il suo percorso tramite concorso pubblico, chi grazie alle scorrimento di graduatorie, dopo anni e anni di precariato, chi ancora grazie a sanatorie per aver espletato un anno di servizio, chi tramite abilitazioni riservate, chi tramite acronimi ridicoli, chi per passaggi da un grado all’altro; chi, ancora, ha visto estendere la propria classe di concorso all’insegnamento di discipline afferenti al campo di insegnamento e che magari ha anche la possibilità paritetica della libera professione: ingegneria abilitata all’insegnamento della matematica, della fisica, magari anche della chimica, decisione che snatura le facoltà finalizzate all’insegnamento precipuo di dette discipline; biologia o geologia abilitate anch’esse all’insegnamento delle scienze naturali ad ampio spettro, solo per citarne alcune … 

Un vero e proprio ginepraio volutamente impiantato al fine di ingenerare il caos, di provocare lo sgretolamento, il decadimento, la degenerescenza, la deriva, la devastazione. E nella polvere, è noto, tutti hanno ragione e, parimenti, tutti hanno torto. Dovremmo chiedere alla polvere marmorea le ragioni del Colosso d’un tempo e del rudere odierno. Sono convinto che essa ci risponderebbe: «Poveri Cristi, voi Docenti che vivete la vostra professione quale mestiere di vita, guardatevi, oltre che dai nemici esterni (la massa informe di politici, legislatori, studiosi, ecc. ecc.), anche da quelli interni, vostri colleghi che sono usi, per menefreghismo,  per inerzia e per mancanza di idee, per debolezza, per paura o per viltà a «legare l’asino dove dice il padrone», padroni indottrinati all’acquiescenza passiva del VUOTO ASSOLUTO, all’inettitudine di esprimere un pensiero critico su quanto viene loro propinato. Questi stessi docenti si aggirano, come le mosche sugli escrementi, ovunque si senta profumo di denaro!». Uomini e no!

La Scuola, invece, non ha bisogno di soldi per premiare chi dell’insegnamento non ha fatto la sua missione princeps, ma solo un viatico all’astuzia. Assistiamo, purtroppo passivamente, a Docenti meritevoli, dediti in toto alla loro professione, che non vedono un centesimo e a docentucci che, come segugi, inseguono impunemente il Dio denaro, con la piena indulgenza, e persino esaltazione, dei Capi. 

Capite bene che, sic rebus stantibus, l’aletheia (la verità) e, ancor più, la parresia (il coraggio della verità) sono un miraggio, che diventano, ahimé, sempre più, vieppiù, ananké (fatalità).

Le nuove genitorialità, inoltre, partecipano al caos come in un quadro arcinoto, di picassiana impronta. Dall’istituzione dei Decreti Delegati del 1974, in particolare il 416 che sanciva l’introduzione degli organi collegiali e quindi l’ingresso dei genitori e studenti alla vita scolastica, esse hanno assunto nel corso degli anni un potere che di fatto corrode le fondamenta stesse dei presupposti educativi. Esse, per la maggior parte, fuori da ogni appartenenza al mondo educativo, si sentono investite di un potere offerto loro da una presunta e ipotetica cognizione del tutto e il Docente diventa il nemico da colpire, a prescindere. Senza ascoltare, senza comprendere, attaccano l’Istituzione difendendo i loro figli a spron battuto, anche se sbagliano. Qui risiede l’altro male dell’atto educativo perché, così facendo, instillano nella mente dei loro pargoli la disistima verso la Scuola. Magari, chi lo sa, in futuro verrà loro consentito di strutturare i curricula (es.: «… nel caso in cui il Docente di francese dovesse esprimere una valutazione negativa su mio figlio, chiedo l’istituzione dello spagnolo…!»).

Le considerazioni sopra elencate si sviluppano come diretta conseguenza  di un Potere politico, economico, e non culturale, che non riconosce alla classe Docente (quella «del mestiere di vivere»!) il diritto di cittadinanza. 

Tuttavia, il concetto di apolidia è recente. Esso segue il processo di democratizzazione della professione docente. Nella fase precedente, al contrario, quella in cui la classe degli insegnanti apparteneva ad uno status sociale alto, la dignità e il decoro della professione dovevano essere garantiti. La possibilità poi offerta a tutti di accedere alla professione docente ha di fatto desacralizzato la sovranità di un titolo riservato per decenni a sfere sociali di elezione, ne ha consentito la volgarizzazione, il ludibrio, la vacuità e, in virtù di ciò, il titolo è ritornato ad essere preda dei poteri forti.

Ciò nonostante,  la Cultura, quella vera, ha sempre rappresentato un ostacolo insormontabile a leggi ad essa estranee e i suoi detentori, gli arditi e i non proclivi al cedimento, ancorché parvenus (nel senso nobile della parola!), educati al mondo della concretezza e della compiutezza, ne osteggiano caparbiamente l’ingresso.

 

Stefano Di Domenico

 

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