HomeLettere in RedazionePer una valorizzazione del sé, di Biagio Lauritano

Per una valorizzazione del sé, di Biagio Lauritano

Riceviamo e pubblichiamo il contributo di Biagio Lauritano

Il viaggio immaginario di Dante nell’oltretomba rappresenta un momento di riflessione esistenziale del poeta con espressi riferimenti autobiografici che ne fanno una summa del suo stato d’animo.

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È interessante perciò chiederci perché Dante abbia scritto la Divina Commedia; si parla sempre di intento didascalico-morale ovvero per insegnare la retta via agli uomini di ogni epoca. Ma siamo davvero sicuri che un uomo, di qualunque epoca, possa comprendere le finalità del viaggio di Dante e trarre quindi le conclusioni per condurre una vita migliore?

Non mi riferisco alle difficoltà che avrebbe, per esempio, un uomo del XXI secolo nella complessa interpretazione del simbolismo dantesco così come nell’immedesimazione dello stesso nei vari episodi dei canti, visto il differente approccio legato alla propria forma mentis.

Mi riferisco invece alla capacità di avere fede che l’uomo attuale ha perso: un senso di smarrimento lo attanaglia, perso com’è, nelle sue occupazioni giornaliere e con la convinzione di non arrivare mai a intravvedere il domani.

Una corsa contro il tempo che rivela quindi, ancora una volta, le difficoltà, ma anche, l’insensatezza dell’uomo del XXI secolo “troppo preoccupato di catturare il presente” facendo così emergere il paradosso su cui si fonda la sua esistenza ovvero ciò che emerge nel voler l’uomo, finito, cogliere l’infinito.

L’insensatezza delle proprie azioni rendono l’uomo un alienato facendogli perdere quell’approccio che dovrebbe avere nell’affrontare i reali problemi ovvero prendersi cura dell’altro e arrivando così a risolvere ogni controversia “lasciando traccia di sé”.

L’approccio determinista rende l’uomo attuale incapace di avere una visione onnicomprensiva della società in cui vive, incapace di accorgersi del persistere di diverse realtà condannandolo spesso all’incomunicabilità con il prossimo.

Viene da pensare alla crisi dell’uomo del primo Novecento chiamando in causa l’analisi introspettiva di Svevo, Pirandello e quanti altri vedevano nella frammentarietà dell’io la causa della sconfitta dell’uomo. Ma viene da pensare anche a Leopardi, cantore lirico della vanità dei sentimenti dell’uomo proiettato verso la morte cosmica.

Per non parlare della perdita della visione antropocentrica dell’uomo del Seicento che si svegliava dall’illusione della libertà assoluta del periodo rinascimentale. La conquista dei diritti da parte dell’uomo che superava l’assolutismo dell’antico Regime testimonia l’importanza della Rivoluzione francese ma, allo stesso tempo, ci spinge a porre l’attenzione sull’origine consequenziale della realtà ovvero sul nesso causa-effetto inteso dall’uomo come immanenza che permane agli eventi, espressione questa della sua laicità.

Ciò che oggi l’uomo dovrebbe fare per essere “più presente a se stesso” ovvero cercare le ragioni di fondo per migliorare la società in cui vive è un vero e proprio cambio di rotta; in altre parole, per fare propria la lezione di Dante, egli dovrebbe pensare a se stesso ma, nel contempo, anche agli altri mettendo da parte il proprio ego e cercando di conciliare le ragioni del proprio essere con i tanti bisogni derivanti dalle esperienze quotidiane.

Solo così la conoscenza dei saperi andrebbe oltre il livello nozionistico diventando così la base per rendere l’uomo in grado di esperire quelli che possiamo definire i propri ricordi sparsi qua e là nella mente in modo che essi possano fungere da stimolo alla costruzione della propria identità. Questo beninteso vuol dire la costruzione di una identità plurale nei senso che questa reca traccia anche degli altri nell’affrontare il difficile compito di stare al mondo.

Lodevole l’iniziativa del preside di Pavia, ma chi ha mandato il personale in ferie?

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