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Coordinamento Sfp: a scuola si deve entrare solo per selezione, ma così non è

Crediamo in una scuola aperta e partecipata, in cui gli insegnanti sappiano sostenere l’apprendimento specifico di ciascuno studente, far scorgere a ciascuno la bellezza della scoperta di un nuovo sapere, il senso di efficacia che ti entusiasma quando ti riconosci competente e la ricchezza del mettersi a servizio degli altri. Un buon insegnante non è una brava mamma o un supereroe, è piuttosto un professionista che si è formato per svolgere il delicato compito di guidare ciascun alunno nello sperimentarsi autonomo ed efficace negli apprendimenti: l’alunno riesce ad essere al centro del suo apprendimento quando l’insegnante gli fornisce gli strumenti necessari per raggiungere tale scopo.

Le riforme per la scuola dovrebbero essere orientate da una visione a lungo termine e l’ago della bussola dovrebbe puntare sempre verso una stabile concezione pedagogica.

Poi c’è la realtà: la scuola italiana in cui gli insegnanti sono per la maggior parte assunti senza alcun tipo di selezione. L’ex ministro Bussetti ha promosso una maxi-sanatoria per il reclutamento nella scuola primaria lasciando a casa i maestri laureati; a questi ultimi l’attuale ministra Azzolina propone ciò che agognavano e chiedevano a gran voce in piazza da anni.

Eppure, la percentuale degli insegnanti che entreranno in ruolo senza una reale selezione è schiacciante e noi maestri laureati concorreremo per quei pochi posti rimasti e, lo confessiamo, ci sembra un po’ una beffa. Il vincolo di 5 anni per garantire giustamente la continuità agli studenti si applica solo a noi che forse vinceremo il concorso? Perché non inserirlo nei contratti di tutti i neo-immessi in ruolo? Sembra che a noi sia riservato il trattamento più giusto che si possa immaginare, ma nella più ingiusta delle realtà e allora preferiamo rimanere precari e fare del precariato la nostra professione perché, e non è solo una provocazione, vorremmo poter avere una progettualità nella vita personale. Non possiamo investire nel futuro perché lo Stato non riesce a investire nel futuro della scuola.

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